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Questo articolo è stato pubblicato il 11 marzo 2011 alle ore 06:39.

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Cominciò più o meno tutto nell'estate del 2001 quando l'allora governo Amato decise di congelare il voto di Edf nel capitale di Edison al 2%, nonostante il gruppo transalpino potesse contare su una quota che sfiorava il 20 per cento. Il provvedimento, ovviamente, non passò il vaglio dell'Unione Europea che nei mesi successivi aprì una procedura d'infrazione contro l'Italia costretta a riconoscere a Edf un peso equo nell'azionariato di Foro Buonaparte. A dieci anni di distanza, tuttavia, il gruppo francese non è ancora libero di far valere tutte le azioni che ha in portafoglio.

Da tempo può contare su un pacchetto che sfiora il 50% di Edison eppure fino ad oggi la società ha votato limitatamente a quel 30,6% custodito in Transalpina di Energia, dove spartisce la governance con i soci italiani. In questi giorni poteva compiersi la svolta: Edf padrona delle proprie quote, il partner A2A libero del termoelettrico e concentrato sull'idroelettrico, e per Edison un futuro finalmente certo. Il timore, però, che l'ennesimo gioiello italiano finisse nelle mani dei francesi, notoriamente assai protezionisti in casa loro, ha costretto la politica a scendere nuovamente in campo. Mossa di certo garantista ma che lascia sospeso il destino di Foro Buonaparte.

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