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Questo articolo è stato pubblicato il 12 marzo 2011 alle ore 08:14.

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Basilea III è stata pensata per rendere più solido il sistema bancario. Con un effetto perverso, potrebbe invece creare nuovi rischi, favorendo lo sviluppo del sistema bancario ombra, scarsamente regolamentato, e penalizzando il modello delle banche universali diversificate che ha dimostrato buone capacità di tenuta di fronte alla crisi. Non sembrano inoltre esservi misure significative per rafforzare la funzione di controllo, più utile della stessa regolamentazione ai fini della prevenzione delle crisi bancarie.

La prima contraddizione deriva dalla coesistenza di un sistema ombra vasto e meno regolamentato, con un settore bancario sempre più regolato. Il modello bancario «originate and distribute» (crea e distribuisci) da cui è scaturita la crisi è stato giustamente frenato, e la cartolarizzazione è stata notevolmente ridotta, per ragioni di mercato oltre che normative. Negli Stati Uniti le banche devono adeguarsi alla "Volcker rule" e per legge non possono effettuare operazioni di trading proprietario né detenere fondi speculativi o fondi di private equity.

Ma queste attività mantengono una certa attrattiva per molti investitori. Esiste quindi la tentazione di trasferirle in un sistema bancario ombra, in grado di espandersi senza incontrare troppi ostacoli. L'unica risposta logica è sottomettere il sistema bancario ombra ai vincoli normativi e di capitale. Gli enti regolatori concordano con questa conclusione (secondo il Dodd-Frank Act è possibile considerare di rilevanza sistemica alcuni istituti "non bancari" e quindi trattarli come tali), ma mettono in evidenza le difficoltà pratiche connesse a un approccio di questo tipo. A quanto pare, non è stato fatto nulla, anche se il Financial stability board (Fsb) sta lavorando al problema.

La seconda contraddizione riguarda in particolare l'Europa. Il modello bancario dominante nell'Europa continentale è quello delle banche "universali" diversificate con portafogli che comprendono prestiti ai privati e alle imprese, finanza di progetto, attività bancaria di investimento e gestione di fondi. Tali banche di solito tengono i prestiti in bilancio e svolgono un'attività di cartolarizzazione molto limitata. Questo modello si adatta bene al modo in cui viene finanziata l'economia europea, ossia con intermediazione bancaria per quasi tre quarti.

A parte alcuni istituti in Svizzera, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito, che hanno gonfiato eccessivamente i rispettivi portafogli di negoziazione, queste banche universali si sono dimostrate piuttosto solide durante la crisi. Considerando il loro ruolo cruciale nel finanziamento dell'economia e il modesto ricorso alla cartolarizzazione, presentano bilanci consistenti, ma sono anche dotate di ampie basi di depositi che rafforzano la loro liquidità.
Tuttavia, gli alti livelli di capitale derivanti da Basilea III (i requisiti sono complessivamente quintuplicati) e gli importi aggiuntivi in via di definizione per gli istituti di rilevanza sistemica (per non parlare delle nuove regole sulla liquidità) sono destinati a penalizzare le banche universali.

L'obbligo imposto alle banche europee tradizionali di aumentare in misura significativa i fondi propri comporterà due conseguenze. Dati il costo del capitale e la lotta per la conquista di depositi, dovranno incrementare il prezzo del prestito, rendendo il credito più costoso. In secondo luogo, ci sarà una tendenza a ridurre i prestiti, per agire sul denominatore dei rapporti di capitale, e ad accorciarne l'orizzonte temporale. Le banche saranno tentate di tenere in bilancio le attività più redditizie, ma rischiose.

La terza contraddizione riguarda i rispettivi ruoli di regolamentazione e vigilanza. Sappiamo tutti che l'estrema debolezza della vigilanza, soprattutto nei paesi che hanno adottato l'approccio del "tocco leggero", è stato un fattore di grande importanza nella crisi. Ovviamente, la regolamentazione era tutt'altro che perfetta e deve essere modificata. Ma se i controlli fossero stati più efficaci (come lo sono ad esempio in Canada, Italia e Francia) si sarebbe potuto evitare il peggio. Non è un caso che la mappa delle inefficienze della vigilanza coincide quasi perfettamente con quella dei fallimenti delle banche.


Nonostante questo, quasi tutte le autorità hanno concentrato la propria azione sulle regole, anziché sul controllo. Ma introdurre regole sempre più complesse non porterà grandi benefici: al contrario, non farà altro che incoraggiare il sistema ombra e l'arbitraggio regolamentare.


Sebbene il G-20 abbia parlato di vigilanza nei comunicati recenti, non si vede un'attività fervente su questo fronte. Le nuove autorità europee, in particolare, devono affrontare numerose questioni. Dovranno avere la giusta dose di risorse e indipendenza per diffondere su scala internazionale gli standard e le prassi di vigilanza migliori. Ai fini della creazione di una reale parità di condizioni, il Consiglio di stabilità finanziaria e il Fondo monetario internazionale sono chiamati a svolgere un ruolo cruciale, rispettivamente nello sviluppo di politiche di controllo e nel monitoraggio della conformità a tali politiche.

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