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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2011 alle ore 10:16.

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Pmi in gergo europeo significa indice di fiducia dei manager responsabili degli acquisti (purchasing manager index), del resto chi compra fa girare l'economia. Pmi in Italia sta per piccola e media impresa. Un solo acronimo, dunque, ma due mondi. Interconnessi, però. Quell'indice di fiducia è importante proprio per le nostre micro aziende spesso indotte a competere fuori dai confini. Più c'è fiducia, più c'è business.

Ma per acquisirla, la fiducia, occorre creare e mantenere le condizioni ottimali per la vita dell'impresa, a maggior ragione se è piccola. Lo Statuto dell'impresa, la legge annuale per lo sviluppo delle Pmi prevista dallo Small business act europeo, ma anche la riforma degli incenivi e il pacchetto delle liberalizzazioni dovevano servire a questo scopo. Uno sforzo di visibilità, prima di tutto culturale, molto apprezzabile.
Peccato che lo Statuto, da oggi all'esame dell'aula della Camera, contenga poche misure di reale tutela per le imprese e conservi un quadro generico di norme-cornice, l'ideale per una tradizione di "economia dell'auspicio", buona per i giuristi meno per i capitani d'industria.
Ciò fa il paio con la recente archiviazione di quella che era stata salutata come la «scossa» per l'economia (copyright Silvio Berlusconi) fatta appunto di riforma degli incentivi, nuove liberalizzazioni e semplificazioni a partire dallo snellimento nelle fasi burocratiche per l'avvio di un'impresa o per la sua regolarizzazione in tema di ambiente. Nulla, reset. Se ne parla in futuro. In attesa che segnali importanti vengano a maggio, quando l'ennesimo decreto assumerà le vesti miste di dl omnibus e di manovra d'estate, non resta che prendere atto di quanto sia stata occhiuta finora l'amministrazione.

Basti pensare che dallo Statuto resta in bilico la norma di bon ton commerciale da parte dello stato in caso di mancati pagamenti o di pagamenti in ritardo (oggi la media è 300 giorni, un periodo che, tra privati, porta dritto in tribunale). Per non parlare della riserva del 50% degli incentivi proprio alle Pmi (annuncio che tuttavia non avrebbe retto l'esame europeo), di cui non c'è traccia. Tutto rinviato.
Sempre a ridosso dell'estate si riparlerà di regole più facili per la trasmissione d'impresa, per il microcredito, per il capitale di rischio. Per ora intenzioni – certo buone intenzioni – ancora da verificare. Come sono buone le intenzioni dello Statuto sui rimandi a provvedimenti futuri (futuri, però) per evitare monopoli o forme di compressione da parte di soggetti grandi su soggetti più piccoli.

C'è, poi, il tavolo di consultazione permanente al ministero per lo Sviluppo. E c'è Mr Pmi, Giuseppe Tripoli, che – si veda l'intervista sul Sole 24 Ore di venerdì 11 marzo – ha spiegato come il suo ruolo sia di ombudsman delle micro aziende, di difesore civico, di facilitatore di contatti tra imprese e istituzioni. Niente poteri sanzionatori, niente dotazione economica. Moral suasion. Gli servirà una persuasività degna di un Cardinal Mazarino; per ora ha dovuto digerire, proprio al debutto, l'assenza di misure concrete per le aziende. Un battesimo che ha tutto l'aspetto di "un buon giorno che si vede dal mattino". Non vorremmo che Pmi diventasse l'acronimo per Probabili Misure Inutili.

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