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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2011 alle ore 09:55.

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Ogni volta che scrivo sull'inflazione (o sull'assenza d'inflazione) ricevo mail arrabbiate di lettori ossessionati dai prezzi delle materie prime. Non riescono a capire perché economisti e civil servant come me e il presidente della Fed Bernanke, non condividano i timori di una corsa dell'inflazione, nonostante i forti aumenti del prezzo di frumento, petrolio e altre materie prime.

Molti di quelli che mi scrivono sembrano non rendersi conto che i prezzi delle materie prime giocano un ruolo limitato nell'andamento dei prezzi al consumo. Un ruolo lo giocano - ad esempio, il prezzo del petrolio incide sulla benzina, che a sua volta impatta sui prezzi al consumo - ma i prezzi di altri prodotti, anche quando c'è una componente di materie prime forte, in realtà si basano prevalentemente sul costo della manodopera e su altre fonti di valore aggiunto.

A dicembre 2010, il costo di una pagnotta di pane bianco da mezzo chilo era di circa 1,386 dollari. Quanto incideva il costo del frumento? Da un bushel (45 chili) di frumento si ricavano 28,5 chili di pane: ultimamente il frumento si vende a circa 10 dollari al bushel, quindi il costo del frumento pesa su quella pagnotta per 16 centesimi di dollaro, cioè meno del 12 per cento.

I prezzi all'ingrosso delle materie prime hanno un effetto sorprendentemente limitato sui prezzi degli alimenti, e ancora meno sull'indice generale dei prezzi al consumo. Ripeto: un effetto c'è. Ma non è raro vedere forti incrementi dei prezzi delle materie prime accompagnati da un'inflazione complessiva che rimane bassa, com'è il caso ultimamente degli Usa.

Un'osservazione sul petrolio. È una materia prima con una domanda a breve termine fortemente anelastica, e ciò significa che ogni rallentamento dell'offerta porta a un incremento del prezzo. Anche l'offerta, di solito, è anelastica: l'eccezione in questo senso è costituita dal l'Arabia Saudita.

James Hamilton, professore di economia all'Università della California, ha evidenziato questo aspetto sul sito Econbrowser: se la produzione di petrolio in Libia si bloccherà, i mercati avranno bisogno di 1,8 milioni di barile al giorno per rimpiazzarla. «Se i sauditi non furono in grado, o non vollero, superare i livelli di produzione nel 2008, quando il petrolio si vendeva a 140 dollari al barile - scrive Hamilton - perché aspettarsi che lo facciano ora che il West Texas è a 106 dollari?».

C'è la possibilità che il petrolio libico - fetta importante della produzione mondiale - venga meno, e nessuno sa se l'Arabia Saudita potrà, o vorrà, incrementare la produzione. Per come la vedo io, la cosa strana è che il prezzo non sia più alto di com'è.
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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