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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2011 alle ore 09:57.

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Il dibattito sulla scuola pubblica è tornato alla ribalta tra dichiarazioni mediatiche e manifestazioni di piazza. Ma è un dibattito che in realtà richiederebbe riflessioni più meditate e meglio informate.

Sono due i motivi più rilevanti per affidare allo Stato, invece che a privati, l'istruzione dei giovani cittadini. In primo luogo, una scuola pubblica con programmi di studio omogenei si presta meglio a garantire che tutti i giovani raggiungano un livello minimo di istruzione e di valori condivisi per poter collaborare tra loro efficacemente, una volta diventati adulti. In secondo luogo, lo Stato può ridurre il costo dell'andare a scuola per i meno abbienti, scaricandone una buona parte sulla fiscalità generale. La collettività ha interesse a farsi carico di questo costo non solo per motivi di equità, ma anche perché l'eventuale decisione di non istruirsi a sufficienza, presa da chi non se lo può permettere, ridurrebbe il capitale umano del paese con effetti deleteri per tutti.

Entrambe queste ragioni hanno però contropartite su cui è bene riflettere. Per esempio, chi deve decidere che cosa e come si insegna nelle scuole statali che i cittadini devono frequentare? Che ci piaccia o no, in un sistema democratico l'istruzione pubblica (così come la televisione pubblica), alla lunga non può che riflettere il colore della maggioranza che governa il paese. Molti italiani hanno una visione idilliaca dello Stato come entità super partes, ma l'esperienza ci dice che lo Stato, e quindi il suo sistema educativo, è espressione della maggioranza. Lo ha detto Berlusconi in riferimento alla scuola che non gli piaceva, e lo dirò io quando l'attuale maggioranza avrà avuto tempo sufficiente per cambiare le cose. Giratela come volete, ma in un sistema pubblico la minoranza che vuole la scuola gialla prima o poi finisce col dover accettare il volere della maggioranza che la vuole blu.

Immagino l'obiezione: lo Stato dovrebbe fare scuole arcobaleno! Ma anche l'arcobaleno è una scelta cromatica che a qualcuno non piace. E poi, purtroppo, sembra raro il caso di maggioranze che, al di là delle dichiarazioni programmatiche, amino davvero la molteplicità dei colori. Proprio questo dovrebbe far riflettere tutti quelli che invece una tale scuola multicolore vorrebbero. Il bene dell'istruzione minima per tutti e della coesione sociale non è assoluto: deve avere un limite nell'impossibilità di imporre alla minoranza un'istruzione diversa da quella che essa vorrebbe.

Non sarebbe allora preferibile un sistema in cui lo Stato si limitasse a indicare i binari entro i quali scuole veramente libere e autonome potessero decidere come organizzarsi e che cosa insegnare? Come in una sorta di Carta costituzionale educativa, credo che un consenso ampio potrebbe emergere su quali debbano essere questi binari, magari più stretti nella scuola primaria e più ampi in quella terziaria. La novità di questo modo di procedere sta nell'affermare che non debba essere lo Stato in prima persona a gestire le scuole, ma che esso possa limitarsi a certificare quelle che operano all'interno dei binari condivisi.

Rimarrebbe però il secondo problema, ossia assicurare che tutti, anche i meno abbienti, acquisiscano il livello minimo d'istruzione che la collettività ritiene opportuno per i suoi membri. Solitamente si ritiene che conseguire questo obiettivo sia necessario per motivi di equità oppure perché lo Stato sa meglio dei cittadini quale sia il loro bene. Ma anche senza ricorrere a questa giustificazione paternalistica, l'evidenza empirica suggerisce che, entro certi limiti, una maggiore istruzione aumenta non solo la produttività e il benessere del singolo cittadino che la consegue ma anche di quelli che gli stanno intorno e che con lui interagiscono. La collettività ha quindi interesse a evitare il rischio che i meno abbienti tra i suoi membri non si istruiscano a sufficienza per difetto di risorse economiche.

A fronte di questo rischio, però, c'è anche il rischio opposto: ossia offrire a tutti un'istruzione eccessivamente prolungata, poco qualificata e costosa per lo Stato, che finisce per essere solo un pezzo di carta con valore legale, ma nessun valore reale. Quindi se è opportuno assicurare ai meno abbienti la possibilità di istruirsi, non è detto che la soluzione giusta sia di rendere l'istruzione gratuita e obbligatoria per tutti fino alla laurea. Non tutti meritano di diventare dottori e almeno i ricchi potrebbero pagarsi la loro scuola.

Chiediamoci allora, senza preconcetti, se non sia preferibile un sistema scolastico in cui: il problema distributivo sia risolto tassando gli abbienti per finanziare voucher con cui i meno abbienti possano accedere all'istruzione; le scuole abbiano piena autonomia riguardo alla loro gestione interna e all'offerta formativa, entro limiti più o meno stretti, da concordare per favorire un livello minimo di istruzione basilare, di cultura nazionale comune e di coesione sociale; i cittadini siano liberi di finanziare mediante i voucher, ed eventualmente le loro risorse personali, le scuole che preferiscono.

In questo sistema nulla vieterebbe, e sarebbe la mia speranza, che molti cittadini finanziassero scuole arcobaleno, e fossero pochi invece quelli che preferiscono scuole monocolore. Senza questo sistema, invece, perché dovrei mandare i miei figli in una scuola pubblica del colore voluto da una maggioranza in cui non mi riconosco?

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