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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2011 alle ore 10:05.

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Salvata Bengasi alla dodicesima ora, adesso ci sarebbe da salvare anche la Libia. Detto così sembra facile. Come e quando il paese sarà liberato dal suo dittatore non lo sanno coloro che l'altra sera hanno votato la risoluzione al Consiglio di sicurezza. E nemmeno quelli che l'hanno promossa buttando cuore, aeronautica e credibilità politica oltre l'ostacolo. Da qui in poi si entra in una nuova palude mediorientale.

Un intervento militare internazionale - cioè occidentale - veniva invocato da settimane. Bisognava fermare Gheddafi e aiutare a far vincere un altro tassello della Primavera araba. Sulla carta l'intervento armato in Libia era ineccepibile e anche politicamente logico: dopo avere scaricato senza mezzi termini il dittatore col quale si erano fatti molti affari, non aveva senso lasciargli riconquistare il paese. Prenderlo poi per fame applicando di nuovo sanzioni economiche, avrebbe richiesto anni di assedio. Ricominciare a fare affari con lui, sarebbe stato come perdere la faccia.

Ma la decisione non veniva presa. Ancora la settimana scorsa al vertice del G-8 Franco Frattini ammetteva che i carri armati si muovono più rapidamente della diplomazia. Lo diceva con un certo imbarazzo. In realtà è giusto che la diplomazia abbia tempi diversi da quelli di una brigata corazzata. Era un segno di sanità mentale che l'Europa si chiedesse cosa fosse più giusto fare; che l'amministrazione Obama, impegnata con gli elettori a far tornare i suoi soldati dai fronti già aperti, fosse riluttante ad aprirne uno nuovo.

Questa non è la Serbia, è il Medio Oriente: ciò che all'inizio sembra facile, d'improvviso sviluppa dinamiche impreviste. Anche arrivare a Kabul e sloggiare i Talebani fu un'impresa semplice; la "liberazione" dell'Iraq fino a Baghdad fu un'avanzata nel vuoto. "Missione compiuta" annunciò George Bush. Nel Sud del Libano dal 2006 abbiamo soldati ai quali ormai sfugge il senso della missione originale.

Sarebbe bello pensare che la Libia sarà liberata da forze europee e da quelle messe in campo dalla Lega Araba. In fondo il Mediterraneo è un mare nostro e loro. Ma non sarà così facile, dopo il Qatar, trovare arabi disposti a partecipare con l'entusiasmo di Francia e Gran Bretagna. Molti rais ed emiri si stanno già chiedendo a chi di loro possa toccare, dopo Gheddafi. Supponiamo che alla fine la missione sia facile, che Tripoli cada senza troppa fatica. E poi? Perché questo è il problema che apre la soluzione del problema libico.

Fino ad ora la Primavera araba era una questione degli arabi in ogni singolo paese, a parte l'arrivo delle truppe saudite in Bahrein. Ora diventa un fatto internazionale: come la Rivoluzione francese dalla battaglia di Valmy in poi. Cosa definisce immorale un regime o inaccettabile un massacro? Di Gheddafi sapevamo già tutto ma a darci di lui un'immagine insopportabile è stata al-Jazeera, che in questa vicenda è molto più di un canale televisivo. Gheddafi è capace di ogni efferatezza, ma le fosse comuni piene di migliaia di vittime per le quali stiamo accendendo i motori dei nostri bombardieri devono ancora essere scoperte. Potrebbe finire come Saddam Hussein e le sue armi di distruzione di massa mai trovate.

Liberata la Libia, bisognerà stabilire se anche i 40 nuovi morti di ieri nello Yemen meritino di essere presi in considerazione. E poi la Siria, il Bahrein, forse l'Arabia Saudita e l'Algeria, certamente l'Iran e tutti quelli che verranno dopo, in questa rivoluzione araba appena iniziata. Tutto questo potrebbe ridisegnare radicalmente la geopolitica di una regione, costringerci a riscrivere l'elenco degli amici e dei nemici. Fino ad ora i primi avevano caratteristiche precise: avevano fatto o erano pronti a fare la pace con Israele, combattevano il terrorismo islamico (il grande assente di questo '48 è al-Qaeda, per adesso), facevano affari soprattutto energetici con noi. Domani gli amici potrebbero essere scelti sulla base della democrazia. Un passo avanti importante verso la civiltà globale, ma un'unità di misura ancora tenue a partire da coloro che da oggi sono sotto la nostra protezione: chi sono gli oppositori di Bengasi, qual è la loro idea di Libia?

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