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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2011 alle ore 08:15.
L'ultima modifica è del 22 marzo 2011 alle ore 06:39.
Va bene, ormai bisognava dare una spallata a Gheddafi; forse a un'operazione militare non c'erano più alternative. Ma in questa "Odissea all'alba" potreste almeno dirci chi comanda? "Coalizione dei volenterosi" è una buona definizione, quasi quanto il nome che qualcuno ha trovato per la missione militare. Ma sia pure a cose iniziate, è venuto il momento di chiarire chi si assume la responsabilità da adesso fino alla fine.
A prima vista la coalizione sembra un'armata Brancaleone altamente tecnologica.
Ascoltando le molte cose dette in questi giorni, è sconfortante scoprire che non c'è un vero comando militare unificato. I francesi hanno il loro, gli inglesi vanno e vengono direttamente dalle basi scozzesi. L'altro giorno da Washington il vice ammiraglio William Gortney diceva che il Pentagono è il leading edge, la guida dominante dell'«operazione multi-fase» (?). Da giorni si annuncia che, della missione, Capodichino sta per diventare il "cervello pulsante" (!). Per evitare di colpire due volte lo stesso obiettivo e le collisioni nell'affollato traffico aereo libico, un coordinamento ci sarà. Ma può bastare per arrivare alla fine dell'odissea?
E soprattutto si può vincere senza una guida politica? Dando per scontato che quel che viene venduto - «la difesa delle popolazioni civili» - non è l'unico obiettivo del conflitto, la caduta di Gheddafi richiede tempo. I modi per ottenerla sono due: un intervento molto improbabile delle truppe di terra dei volenterosi dopo i bombardamenti dal cielo o il rafforzamento militare degli oppositori di Bengasi. Ma il tempo ha bisogno di consenso, il consenso di una forte motivazione politica, la motivazione di un leader.
La Nato potrebbe essere una sintesi militare e politica di quel che serve. Ma Nicolas Sarkozy non la vuole perché perderebbe il primato che si è preso; non la vogliono i turchi perché lo spazio vitale della loro crescita è il mondo arabo che non ama questo genere d'interventi militari. E soprattutto non la gradiscono gli americani: sia Barack Obama che Hillary Clinton hanno precisato che entro qualche giorno gli Stati Uniti faranno «qualche passo indietro». La Nato sembra dunque esclusa. Esclusa anche l'Unione Europea che, oltre all'assenza di una volontà collettiva, non ha le strutture per reggere un conflitto: è priva di una politica estera e di difesa comuni.
Sul piano politico l'elemento dominante di questa "Odissea all'alba" sembra essere il fattore elettorale. Lo è stato per Sarkozy, convinto che lanciare per primo la missione militare gli avrebbe garantito i consensi che non aveva più; lo è stato per Angela Merkel che, al contrario, ha pensato le sarebbe stato più utile non partecipare; lo è anche per Amr Moussa. Più che un segretario della Lega Araba, Moussa è ormai il candidato principale alle presidenziali egiziane. La sua titubanza fra il partecipare e l'astenersi dipende da questo: l'arabo vorrebbe disfarsi di Gheddafi, l'egiziano constata che il suo elettorato, ora libero di esprimere la sua volontà, non ama vedere stranieri in Medio Oriente.
Non ci resta dunque che l'America. Nel bene con la prima guerra del Golfo del 1990 e nel male con la seconda del 2003, solo gli americani sono stati capaci di mettere insieme e guidare coalizioni. Il mondo sta cambiando ma gli Stati Uniti sono ancora l'unica superpotenza globale: gli unici per i quali interesse nazionale è ciò che accade a migliaia di chilometri dalle loro coste. Per le altre potenze emergenti l'interesse nazionale si ferma ai confini, eventualmente ai paesi vicini e alla regione che li circonda.
Tuttavia anche Barack Obama è già in campagna elettorale: le presidenziali sono lontane ma oggi nessuno sa quanto durerà "Odissea all'alba". Forse è solo un sillogismo imperfetto: ma se votare è il punto massimo della democrazia, sarebbe curioso che l'autocrate Muhammar Gheddafi sopravvivesse a causa della democrazia.
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