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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2011 alle ore 08:23.
L'ultima modifica è del 22 marzo 2011 alle ore 06:38.

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Regole efficienti e controlli adeguati sull'impresa creano valore per gli azionisti e per il mercato e sono fondamentali per evitare il ripetersi di altre gravi crisi. È dunque giusto che ci si interroghi su quale debba essere l'equilibrio tra le misure rimesse al governo societario, le norme imperative, la regolazione delle autorità indipendenti, i poteri dello Stato affidati anche alla sanzione penale.

La lezione di Guido Rossi, anche quando si è manifestata in una critica spietata delle iniziative legislative o dei provvedimenti delle autorità, ha costantemente richiamato l'attenzione sul fatto che i controlli sull'impresa discendono dalla struttura economica e dall'assetto proprietario delle società, dal sistema di mercato in concreto esistente e dal rapporto con il potere politico, da fattori culturali e sociali condivisi dagli operatori economici.
In Italia, per esempio, una parte significativa delle società quotate è oggi controllata da coalizioni di azionisti oppure da soggetti pubblici. In entrambi i casi si tratta di situazioni in cui gli incentivi economici al ricorso ai controlli offerti dal diritto privato sono fortemente attenuati. Inoltre, i conflitti di interessi e i benefici privati che si determinano nelle società controllate da una coalizione e in quelle in cui il controllo è nelle mani di un socio pubblico sono profondamente diversi. Dopo gli scandali Cirio e Parmalat, tuttavia, si sono susseguiti diversi interventi legislativi volti a innalzare i presidii formali, recependo acriticamente soluzioni sperimentate in altri ordinamenti, o ad aumentare le pene edittali di taluni reati, senza, però, una adeguata riflessione sull'idoneità di tali discipline a incidere sugli assetti e sui comportamenti proprietari e sull'effettività dei controlli. L'Italia, ad esempio, è l'unico ordinamento che impone in modo rigido la compresenza di amministratori indipendenti e amministratori di minoranza. Ne è derivato un quadro fortemente disomogeneo, che evidenzia sovrapposizioni nei ruoli e nel sistema di controllo, genera conflitti di competenze negativi e positivi tra organi e che, soprattutto, è privo di una bussola di riferimento che possa facilitare la soluzione di tali conflitti.

Questa situazione, lungi dal migliorare i controlli sull'impresa, ha generato evidenti ipocrisie. Così, ad esempio, a fronte della valorizzazione progressiva e crescente del ruolo degli amministratori indipendenti, il legislatore ha dovuto introdurre una norma volta a sanzionare con la decadenza il caso degli amministratori indipendenti che divengono consulenti della società. E le disposizioni di vigilanza della Banca d'Italia, in materia di organizzazione e governo societario delle banche, hanno dovuto sottolineare l'importanza di un adeguato riconoscimento del ruolo di quanti sono impegnati nei controlli interni, proprio perché chi controlla non distrugge risorse, ma concorre alla creazione di un valore stabile di lungo periodo.
Altrettanto importante è il compito della regolazione e della vigilanza pubblica. In Italia, anche grazie alla prudente azione delle autorità di controllo, l'esposizione delle banche è risultata minore di quella registrata in altri paesi europei. Ma il collasso del sistema bancario e finanziario in Irlanda, con i suoi effetti di contagio sui conti pubblici di quel paese e poi sulla tenuta complessiva dei debiti sovrani europei e della moneta unica, indica quanto sia pericolosa l'esistenza di punti deboli in un sistema istituzionale ed economico ormai profondamente interconnesso. L'istituzione di autorità europee di vigilanza e la creazione di una funzione di vigilanza macro-prudenziale mirano a superare questi fattori di debolezza. La scarsa incisività dei poteri riconosciuti alle autorità europee e la segmentazione del loro campo di intervento per mercati spesso solo apparentemente distinti, tuttavia, rischiano di pregiudicarne l'effettiva capacità di intervento.

Come ha denunciato più volte Guido Rossi, inoltre, la perdurante mancanza di istituzioni globali dotati di effettivi poteri prescrittivi e di enforcement, al di là della pur importante attività di indirizzo e di raccomandazione svolta dal Financial stability board, continua a lasciare ampi spazi all'arbitraggio regolamentare e al jurisdiction shopping delle grandi imprese multinazionali. Senza un'adeguata ripresa dell'iniziativa multilaterale per rafforzare la regolazione globale e rendere più stringente la cooperazione tra autorità di vigilanza, il mercato continuerà ciclicamente a generare i germi della sua autodistruzione.
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