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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2011 alle ore 09:21.
L'ultima modifica è del 23 marzo 2011 alle ore 09:21.

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L'Europa ha finalmente un unico numero di telefono, come invocava Henry Kissinger: quello del capo della diplomazia comunitaria, la baronessa Catherine Ashton. Peccato che, quando lo si compone, scatti solo una segretaria telefonica che risponde: «Se volete conoscere le posizioni inglesi digitate 1, per quelle francesi digitate 2, per le tedesche 3, per le italiane 4...».
La feroce battuta, che circolava nei giorni scorsi nelle cancellerie internazionali, lascia un retrogusto ancora più amaro alla luce dei contrasti tra europei esplosi sull'intervento militare in Libia.
A oltre 15 anni dalla drammatica e avvilente fiera degli equivoci che la disgregazione dell'ex Jugoslavia mise a nudo, a più di sette dalle lacerazioni per l'intervento in Iraq a fianco di George W. Bush, l'Unione Europea conferma ancora una volta di non saper trovare una voce unica in politica estera.
Divisioni emerse già la settimana scorsa nel Consiglio di sicurezza Onu, con l'astensione tedesca sulla risoluzione 1973, contrapposta all'attivismo di Francia e Regno Unito, e rese ancora più profonde dalle frizioni tra Parigi e Roma sulla catena di comando, apparentemente ricomposte solo nelle serata di ieri.

Contrasti europei accentuati dalla linea un po' ondivaga tenuta dall'amministrazione di Barack Obama, incalzata dall'interventismo di Nicolas Sarkozy, propensa a lasciare la mano dopo qualche giorno a un comando franco-inglese delle operazioni, ma nelle ultime ore più decisa nel sostenere un comando o almeno un «ruolo chiave» della Nato.
Comprensibile, del resto, la richiesta italiana di affidare la guida delle operazioni all'Alleanza atlantica, in accordo con le dichiarate strategie post-guerra fredda che tendono ad affidare alla Nato il ruolo di tutore della pace globale del XXI secolo.
Sarkozy ha prontamente ribattuto che il mandato impedirebbe un ampio coinvolgimento arabo, ma c'è ragione di dubitare - alla luce delle prime reazioni - che un rilevante apporto di paesi arabi ci sarà comunque. Può forse rattristare gli europeisti più idealisti che proprio la presenza dell'Organizzazione atlantica possa rappresentare garanzia d'imparzialità nel grumo d'interessi divergenti dei paesi comunitari. Ma così è.
Non sorprende che Parigi e Londra abbiano assunto la testa dell'iniziativa in Libia, in quanto l'asse franco-inglese (cementato dall'accordo di Saint Malo del '98 e ora da progetti di una portaerei comune) da tempo costituisce il nerbo dell'Europa della difesa, quanto l'asse franco-tedesco lo è di quella economica.

Ma peccato che dietro al frenetico attivismo di Sarkozy, ansioso di mandare per primo i suoi caccia su Bengasi, più che il vessillo europeo della libertà si possa intravedere la voglia di far dimenticare le compromissione del suo governo con i regimi di Ben Ali in Tunisia e Mubarak in Egitto, di recuperare popolarità all'interno dopo essere stato incalzato dalla frontista Marine Le Pen nelle elezioni cantonali e forse - a voler essere proprio maliziosi - anche di veder espandere gli interessi di Total in Cirenaica.
D'altro canto nell'astensionismo di Angela Merkel, lesta nel fare gli auguri ai partner e a ritirare i soldati tedeschi dalle operazioni Nato nel Mediteraneo, sembrano prevalere le stesse preoccupazioni di popolarità interna, a pochi giorni dalle elezioni nel cruciale Land del Baden Württemberg di domenica prossima.
Uno speculare rigurgito di populismo ha spinto il cancelliere ad assecondare e cercare di arginare l'onda pacifista e anti-nuclearista (dopo l'incidente di Fukushima) che rischia di far perdere per la prima volta dal 1953 alla Cdu una regione chiave.
Tirandosi fuori dall'intervento in Libia, «la Germania della Merkel non ha dato dimostrazione» di essere all'altezza delle aspirazioni di avere un seggio permanente all'Onu, ha tuonato Le Monde.

«Sarkozy è un maestro dei cortometraggi politici, ora deve dimostrare se sa anche dominare il formato lungo», ha ironizzato sul fronte opposto il tedesco Tagesspiegel. Quanto al britannico David Cameron, non è parso svolgere con successo sottotraccia il ruolo di gran mediatore tra Europa continentale e Stati Uniti, che tradizionalmente compete a Londra, anche se alla fine ha aiutato a ricomporre i cocci dell'ultimo compromesso sul ruolo del comando Nato.
E così, con questi piccoli leader europei, ansiosi di proiettare grandi ombre sui rispettivi elettorati nazionali, ci si trova ora confusi nel mezzo di un delicato intervento militare, in un ambito estremamente complesso come quello libico. Con l'aggravante per l'Italia di avere importanti interessi energetici in gioco e coste molto vicine, dalle quali possono partire in ogni momento migliaia e migliaia di profughi.
Non resta che sperare in un sussulto di buon senso tra i partner europei che, se non potrà resuscitare il sogno di una difesa comune, almeno impedisca di farla sprofondare negli abissi del grottesco.

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