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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2011 alle ore 09:09.
L'ultima modifica è del 25 marzo 2011 alle ore 08:28.

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Mentre l'America assiste impassibile all'acquisto del simbolo del capitalismo, la Borsa di New York, da parte dei tedeschi di Deutsche Börse, l'Italia erige le barricate per difendere l'italianità di Parmalat dagli attacchi della francese Lactalis. Ma il governo è così impegnato a proteggere la proprietà italiana delle imprese nazionali che non si accorge di un ben più pericoloso takeover francese: quello della Libia. Approfittando delle difficoltà politiche e finanziarie dei governi Usa e inglese, la Francia si è erta a difesa degli interessi del popolo libico. Peccato che durante i massacri del Darfur i francesi non mossero un dito. E quando la maggioranza hutu sterminò la minoranza tutsi in Ruanda, i francesi fiancheggiarono gli aguzzini.

Non si tratta di spirito umanitario, dunque, ma di spirito commerciale. Con 43 miliardi di dollari di petrolio esportati ogni anno e 24,5 miliardi d'importazioni, la Libia è un partner commerciale che fa gola. Con quest'intervento il governo francese vuole accaparrarsi la fetta più grossa dell'interscambio con la Libia, a spese dell'Italia, oggi dominante. Vi immaginate cosa succederebbe se l'Italia guidasse un'ipotetica forza di pace in Ciad o in Costa d'Avorio, ex colonie francesi? Perché allora dobbiamo cedere la leadership dei rapporti con Tripoli alla Francia? Se non è strategica la Libia, perché dovrebbe esserlo Parmalat?

Perché il Governo finge di assumere il ruolo di difensore dell'interesse nazionale in campo societario quando non è in grado di difenderlo in politica estera? A chi giova questo nazionalismo economico? Non certo al paese. Quando la Ford voleva comprare l'Alfa Romeo, si preferì svenderla alla Fiat. Ci persero i contribuenti, i consumatori e gli operai dell'Alfa. A guadagnarci non fu neppure la Fiat. Il regalo ritardò solo la crisi. Lo stesso vale per l'Alitalia. Invece che venderla ai francesi di Air France, si è preferito svenderla a una cordata italiana, con grave danno di contribuenti, clienti e dipendenti. Non è difficile prevedere che Air France finirà per comprarla a un prezzo più basso.

Il nazionalismo, dunque, è solo un pretesto. Da un lato, il Governo lo usa per proteggere il suo diritto a intervenire nelle scelte societarie, diritto che non avrebbe in caso di proprietà straniera. Dall'altro, l'establishment industriale e finanziario lo usa per difendere le sue posizioni, posizioni sempre più a rischio in un mondo globalizzato. Ma questo "splendido isolamento" culturale è una camera a gas per i giovani. Secondo un'indagine recente, oltre il 60% dei manager italiani non si trova bene in Italia e sarebbe disposto a fare subito le valigie.

Non è un caso che molti tra i migliori manager italiani lavorino all'estero: da Diego Piacentini, vicepresidente di Amazon, a Guerrino De Luca, ex amministratore delegato di Logitech; da Vittorio Colao, amministratore delegato di Vodafone, a Toni Belloni, numero due di Lvmh, solo per citare alcuni esempi. Il nostro sistema nazional-popolare non premia la competenza ma la fedeltà. Per questo si sente il bisogno di barricarsi contro lo straniero, perché queste scelte di fedeltà, fatte in circoli chiusi invece che sul mercato, rendono le nostre imprese deboli. L'isolamento serve a preservare il potere di chi non se lo merita.

Se questa è la scelta, ben vengano i francesi. Con tutti i loro difetti, hanno un rispetto per la professionalità e la competenza sconosciuto al nostro establishment.

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