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Questo articolo è stato pubblicato il 07 aprile 2011 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 07 aprile 2011 alle ore 08:50.

Franco Caccaro, imprenditore padovano nel settore delle macchine per triturazione dei rifiuti con la sua società Tpa, Tecnologia per l'ambiente srl, in pochi anni è diventato leader nel settore con oltre 200 dipendenti e sedi operative a Wall Street, a due passi dalla Borsa americana di New York, in Turchia, Australia, Francia e Brasile. A cavallo tra il 2005 e il 2006 la sua attività era decollata con l'ingresso d'ingenti capitali tra cui 3 milioni provenienti da due assegni della Resit, impresa di Cipriano Chianese che Caccaro giustificò con crediti personali che vantava nei confronti dell'imprenditore casertano.

Peccato che questo "miracolo" economico che corre sull'asse Caserta-Padova-New York sia stato spezzato ieri dalle Dia di Napoli e di Padova che hanno sequestrato oltre 13 milioni in beni immobili, tra cui ville di lusso, abitazioni di pregio e capannoni industriali nel Padovano. I beni sono stati sequestrati proprio a Chianese, ritenuto il re dei rifiuti del clan dei Casalesi, e al prestanome, l'imprenditore padovano.

Il Veneto è un'oasi felice ma solo per Casalesi e Cosa Nostra. Qui la mafia parla i dialetti campani e siciliani ma non ancora quelli calabresi. Ecco il punto: non ancora. «Il territorio compreso tra le le province di Verona, Padova e in parte Venezia – spiega infatti il sostituto procuratore nazionale antimafia Roberto Pennisi – si sta pian piano trasformando.

Le indagini più recenti svelano la presenza di soggetti calabresi di matrice mafiosa in vicende di traffico d'armi e droga. Soggetti che, per di più, risultano mantenere contatti con la terra d'origine. Da qui a ipotizzare approvvigionamenti di armi, ordigni ed esplosivi delle 'ndrine calabresi in Veneto, il passo è breve».

Ci mancavano solo i calabresi e i loro sporchi traffici in una terra che da quasi 20 anni è costretta a fare i conti con la camorra. Correva il 1993 e l'allora sindaco di Codognè, Mario Gardenal, condusse una battaglia per cacciare dal suo Comune Anna Mazza, la "vedova nera" di Gennaro Moccia, camorrista di Afragola trucidato nel 1987. Mazza, confinata nel Trevigiano dallo Stato, fu rispedita al mittente. Gardenal vinse la sua battaglia ma i trevigiani (e i veneti) persero la guerra: se ne andarono i camorristi, rimase la camorra imprenditrice.

Un anno fa il presidente di Confartigianato della Marca, Mario Pozza, affermò che «in questo momento di crisi di liquidità per molte aziende c'è qualcuno a cui la liquidità non manca». E se si va a leggere il rapporto della Dia del primo semestre 2010, si scopre che «le condizioni di benessere presenti nella provincia trevigiana costituiscono un polo di attrattiva per le compagnie criminali, che investono in attività commerciali o proprietà immobiliari i proventi illeciti».

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