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Questo articolo è stato pubblicato il 08 aprile 2011 alle ore 07:46.
L'ultima modifica è del 08 aprile 2011 alle ore 06:40.

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Appena la settimana scorsa è stata Bankitalia, nell'audizione sul federalismo fiscale, a rilanciare l'allarme Sud per la sanità pubblica. I pazienti che si ricoverano fuori Regione – ha detto – sono l'indice della «qualità delle cure e della capacità produttiva delle strutture sanitarie» assolutamente carenti del Meridione dove i servizi sanitari «sono peggiori che nella restante parte del Paese».

Pazienti che scappano al Nord in cerca di cure, parti cesarei a go-go, ricoveri evitabili, piccoli ospedali. Il Sud, vero grande malato della sanità italiana. Una diagnosi che dà ragione a chi vede nel federalismo, ma quello solidale, la cura migliore per far uscire dal baratro Asl e ospedali del Mezzogiorno.
Male nei conti, peggio nelle cure. Ultimo due volte, il Sud. Un paradigma che la forza delle cifre sui ricoveri nel 2009 appena forniti dal ministero della Salute e trasmessi dalle Regioni – come anticipato dal settimanale Il Sole 24 Ore Sanità – conferma in pieno. Non senza eccellenze. O inappropriatezze organizzativa pure al Nord.
Già a leggere in controluce i dati sui pazienti che emigrano per curarsi si capisce come vanno le cose. Le "top 5" fra le strutture che ricevono pazienti da fuori Regione sono tutte al Centro Nord. In ordine: Policlinico Gemelli di Roma (12.796 ricoveri per "acuti"), l'azienda di Pisa (11.703), il San Raffaele di Milano (11.526), il Sant'Orsola Malpighi di Bologna (10.501), il pediatrico Bambino Gesù di Roma (9.387). Nel 2009 a spostarsi dal Sud sono stati 372mila pazienti, per una perdita di 1,26 miliardi. Campania ultima della classe: ha visto uscire 89.119 pazienti (ed entrarne 26.736) e perdere oltre 316 milioni nel bilancio 2010, seguita da Calabria e Sicilia. E non è certo un caso che dei 10,37 miliardi di deficit 2007–2009 dell'Ssn, 5,8 sono stati realizzati tutti al Sud: il 55 per cento. Il Lazio ha aggiunto altri 4,65 miliardi.

Questo dicono i conti economici. Ma a raccontare di un Sud in affanno sul fronte delle cure sono anche altri indici. Quelli di appropriatezza organizzativa e clinica da parte delle strutture ospedaliere.
I dati delle cosiddette "Sdo 2009" (le schede di dimissione ospedaliera), scremati dai casi limite o dubbi, rivelano troppi conti che non tornano. Valgono fra tutti – non a caso citati da Bankitalia – almeno quattro esempi emblematici di ciò che non si dovrebbe fare negli ospedali. A cominciare dalle fratture di femore, che tipicamente vanno operate entro 48 ore: Campania (solo il 15,8% entro i due giorni), Puglia (16,53) e Sicilia (17,50) sono le peggiori; le performance migliori sono a Bolzano (83%), nelle Marche (59,43%) e in Toscana (53%). La classifica degli ospedali pubblici è impietosa: il San Paolo Ovest di Napoli opera entro 48 ore solo nello 0,7% dei casi, l'ospedale civile di Sassari nell'1% e il Maddaloni di Caserta nell'1,1 per cento. Curiosamente il migliore capiterebbe in Campania: il San Francesco di Salerno opera in due giorni nel 98,4% dei casi, seguito dall'ospedale toscano di Piombino (94,5%) e dal Monteccchio in provincia di Vicenza (87,5%).

Altro indice d'inappropriatezza, altre montagne russe per il Sud. L'abbondanza di (più costosi) parti cesarei: Campania (62%), Sicilia (53%) e Molise (48%) preferiscono il bisturi al parto naturale contro una media nazionale del 38,36% già più elevata delle raccomandazioni Oms (15-20% al massimo). Classifica da brividi quando ci si sintonizza sui singoli ospedali: a Policoro in Basilicata il cesareo vien fatto al 58%, a Colleferro (Roma) al 55%, al Bonomo di Andria in Puglia al 53 per cento. Ma attenzione, i cesarei si fanno senza pensarci troppo soprattutto nelle case di cura private accreditate, che hanno sempre valori elevati: a Palermo nella casa di cura Serena i cesarei valgono l'82% dei parti, a Napoli il Villa Maione usa il bisturi nel 76% dei casi, nella clinica Demma di Palermo al 71 per cento. Ma, curiosa Italia, secondo le Sdo a fare meno cesarei è poi l'Umberto I di Salerno (6,4%), seguito dal Vittorio Emanuele III di Carate Brianza in Lombardia (8,5%) e ancora a Napoli dai Riuniti dell'area stabiese (9,1%). Se le Sdo date dalle Regioni sono vere.

Ricovero che valuti, Sud che arretra. Non sarà un caso che dal Lazio in giù la degenza pre-operatoria sia più lunga. Restare ricoverati troppo a lungo prima di un'operazione ha i suoi costi. La media nazionale di ricovero pre-operazione è di 1,88 giorni: nel Molise diventa 2,54, nel Lazio 2,49, in Basilicata 2,37. Contro le performance delle Marche (1,32 giorni), della Toscana (1,47) e del Piemonte (1,58). Sono nel Lazio i tre ospedali dove si aspetta di più: tra 5 e 6 giorni ad Amatrice, Rocca Priora e Ceccano. Intanto negli ospedali di Città della Pieve (Umbria), Tolentino (Marche) e Umbertide (ancora in Umbria) si fa tutto in poche ore. E che dire degli ospedali di Stigliano (Matera), di quello in odore di chiusura (o forse no) di Trebisacce e di San Giovanni in Fiore (entrambi in provincia di Cosenza): i ricoveri impropri nei reparti chirurgici – indice d'inappropriatezza tra i più gravi di uso degli ospedali – sono tra il 94 e il 97% del totale. E dire che la media nazionale è del 34 per cento. Con casi che tra Marche (Sassocorvaro) e Piemonte (riuniti di Asti) scendono tra lo 0,24 e l'1,08 per cento.

Ma si potrebbe fare un'altra classifica. Da tempo si spingono gli ospedali a non effettuare in ricovero determinate prestazioni, ma di eseguirle in day hospital se non in ambulatorio. Sono in tutto 108, dalla cataratta alla tonsillectomia all'appendicectomia. Senza ricoveri si risparmierebbero cifre miliardarie. Ora, è chiaro che non tutto è sempre possibile, che la scienza medica si divide, che gli stessi pazienti spesso non ci stanno, che non sempre esiste un'organizzazione adatta. Ebbene, ancora le Regioni ci fanno sapere che suddividendo gli ospedali tra grandi e piccoli nella media di ricoveri, la maggior parte dei casi d'inappropriatezza totale è al 54% al Sud. Va malissimo al Civile di San Giovanni in Fiore (Cosenza), a quello di Partinico in Sicilia, all'Inrca in Sardegna, alla Casa del Sole Lanza di Trabia in Sicilia, al Corato di Ruvo (Puglia), al Dettori di Tempio (Sardegna), al Lastaria (Puglia), ai Riuniti Golfo Vesuviano (Campania), al San Timoteo di Termoli (Molise). L'elenco sarebbe infinito. Con presenze delle Marche (Cingoli, Loreto, Tolentino) e del Lazio (l'Oftalmico di Roma, Pontecorvo, Cassino, Anagni). Senza trascurare casi anche in Lombardia che si danno in risalita (Melegnano, Chiari, Vimercate).

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