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Questo articolo è stato pubblicato il 09 aprile 2011 alle ore 09:10.

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C'è tanta miseria quanta nobiltà, nella manifestazione dei giovani che stamane riempirà le piazze delle principali città italiane. La nobiltà è tutta nella voglia di reagire dei nostri ragazzi, di trovare nuove forme di protagonismo senza cadere nelle strumentalizzazioni dei padri. Finalmente i "bamboccioni" battono un colpo, s'organizzano dal basso - in rete e sui social network - e partecipano a qualcosa che hanno inventato loro, evitando di accodarsi passivamente (e spesso inconsapevolmente) a una manifestazione sindacale o di partito. È decisamente una buona notizia, dunque, il risveglio di una generazione troppo spesso rassegnata e in gran parte già bruciata, emarginata dal presente ed esclusa dal futuro, ignorata dalla politica a tal punto da essere stata privata (da almeno quindici anni) delle certezze di quel patto generazionale su cui poggiava la convivenza tra padri e figli nell'Italia del dopoguerra.

Ma c'è anche una quota di miseria intellettuale in questa manifestazione, che rischia di rovinarla inquinando le sue parole d'ordine. Negli slogan che corrono sui blog e su Facebook si avverte subito una pesante retorica anti-mercato e anti-impresa, che replica stancamente film ideologici già visti e ampiamente superati dalla storia: mettere al bando "a prescindere" la flessibilità come forma moderna di schiavitù, rappresentare il mondo del lavoro italiano come se fosse un unico gigantesco call center, invocare nuovi diritti sganciati dai doveri e dalla produttività è un modo di protestare legittimo ma sterile, che rischia di alzare solo un gran polverone nascondendo le vie d'uscita alla difficile condizione dei giovani italiani.

Oggi migliaia di ragazzi scenderanno in piazza urlando. Ma perché questo non diventi solo l'ennesimo slogan d'una bella e inutile giornata di festa, in piazza dovranno andarci con meno demagogia e idee più chiare. È l'unico modo per evitare la trappola della contrapposizione mediatica e della strumentalizzazione da telegiornale. Ed è, soprattutto, l'unico modo per "stanare" la decennale e disarmante assenza della politica sulla questione.

Il pacchetto sul "diritto al futuro" del ministro Meloni, che introduce forme innovative di prestito d'onore a favore dei giovani precari per finanziare l'acquisto della prima casa e lo studio di qualità, è una prima risposta concreta che non può rimanere isolata e confinata a budget così esigui. Ma il vero punto debole del mercato del lavoro in Italia non è la diffusione dei contratti flessibili, che è sempre stata in linea con quella dei principali Paesi europei. Il cuore della questione giovanile in Italia è il tasso di trasformazione dei contratti a tempo determinato in assunzioni, molto più basso della media europea. Perché alle imprese italiane conviene il lavoro flessibile, ma soprattutto non conviene assumere. L'unica strada per non "sprecare" i nostri ragazzi, dunque, è rendere il contratto a tempo indeterminato più conveniente per l'azienda e per i lavoratori. Per farlo è urgente abbattere, per i giovani fino a 35 anni, il peso fiscale e contributivo che grava sulla loro assunzione.

È una mossa costosa, naturalmente. Ma riscoprendo un po' di coraggio politico, magari sulla scia delle manifestazioni di oggi, si potrebbero ri-orientare verso questo obiettivo i quattro miliardi l'anno d'incentivi discrezionali che oggi vengono erogati alle imprese. Gli stessi imprenditori e le loro organizzazioni di rappresentanza li giudicano inutili, come dimostrano le statistiche sul loro impiego: nessun imprenditore vero decide un nuovo investimento sulla base dell'esistenza di un incentivo di questo tipo, che peraltro è costretto a negoziare con il funzionario dell'amministrazione locale di turno. Investendo 4 miliardi sul capitale umano delle nostre imprese, daremmo a centinaia di migliaia di giovani la possibilità di uscire dal deserto della precarietà, trovando la loro oasi professionale e umana. E risparmiandoci altri fiumi di demagogia, restituiremmo davvero ai nostri ragazzi il loro tempo.

fdelzio@luiss.it

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