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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2011 alle ore 11:20.
L'ultima modifica è del 16 aprile 2011 alle ore 11:21.
Non si può sperare che le decine e decine di articoli che i più prestigiosi giornali occidentali dedicano da alcuni anni alla politica italiana, e soprattutto al nostro Governo, non lascino traccia nelle classi dirigenti degli altri Paesi. L'immagine che viene veicolata in questi articoli è quella di una nazione "inadeguata": priva cioè di progettualità e convinzioni, di tensione etica e di autostima, di coesione e di serietà; ma, sopra ogni cosa, priva di un personale politico a livello della sfida. Le conseguenze di questa percezione internazionale sono essenzialmente due.
La prima è emersa nelle ultime settimane con l'isolamento e la malcelata insofferenza che l'Unione Europea e i singoli Paesi europei hanno riservato alle richieste del ministro degli Interni Roberto Maroni sulla questione immigrati. Ad aggravare la situazione ha contribuito il fatto che il ministro Maroni sia un leader del partito più "euroscettico" del sistema partitico italiano. E dire per anni le peggio cose sull'Unione Europea - fino a definirla un "sistema totalitario nazista" - o denunciare sistematicamente le "interferenze" della Ue nel nostro cortile di casa (fra l'altro facendo ostruzionismo al mandato d'arresto europeo) non garantisce una calorosa accoglienza a Bruxelles.
Era quindi illusorio e dilettantesco pensare di poter imporre ai partner europei una diversa gestione del problema immigrati da un giorno all'altro senza aver creato le condizioni necessarie - il coalition building per usare un'espressione gergale. Tutto ciò ignorando che la Ue discute da anni della questione e che l'Italia non è certo il primo Paese a subire improvvise ondate migratorie. Infatti le altre nazioni europee hanno avuto facile gioco a ricordare le decine di migliaia - e nel caso della Germania le centinaia di migliaia - d'immigrati accolti senza tanti strepiti (né va dimenticato che il 27 gennaio 2011 il Consiglio d'Europa aveva denunciato l'Italia per le sue «ripetute violazioni delle Convenzione europea dei diritti dell'uomo in merito ai richiedenti asilo»).
La seconda conseguenza della perdita di credibilità internazionale consiste nell'inedita attività di supplenza, rispetto alle deficienze governative, esercitata da altre istituzioni nazionali, a incominciare dalla Presidenza della Repubblica. Sempre più di frequente è il Presidente Giorgio Napolitano ad ergersi per difendere il prestigio e l'onorabilità nazionale. La stima pressoché universale che lo circonda - si pensi alle specialissime attenzioni che gli sono state riservate nel suo viaggio negli Usa - diventa una sorta di scudo protettivo per il nostro Paese; e il suo europeismo di lunga data fornisce una garanzia per gli altri membri dell'Unione Europea.
L'intervento "protettivo" del Presidente non vale solo sul fronte esterno, ma anche su quello interno. La divisività estrema tra i partiti e l'asprezza del conflitto politico hanno forzato Napolitano a un'opera di "responsabilizzazione istituzionale" con il continuo richiamo ai principi fondanti della Costituzione. Non a caso sia l'opinione pubblica sia gli stessi attori politici si rivolgono alla Presidenza con una frequenza incomparabile rispetto al passato.
Napolitano si trova ora a fronteggiare una doppia crisi: da un lato si amplia a macchia d'olio la perdita di autorevolezza e affidabilità del nostro Paese verso l'esterno; dall'altro la rissosità politica, alimentata anche e soprattutto dallo spirito fazioso di chi ha responsabilità di governo, e quindi collettive, indebolisce la fiducia dei cittadini nelle istituzioni (e le ultime nomine governative non ne hanno incrementato la reputazione). In questa situazione è inevitabile fare appello all'unica figura autenticamente super partes e dotata di un prestigio personale da tutti riconosciuto. Al Presidente spetta quindi una delicatissima quanto indispensabile opera di "supplenza" per far letteralmente sopravvivere questo Paese.
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