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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2011 alle ore 08:19.
L'ultima modifica è del 17 aprile 2011 alle ore 08:14.

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Come il Milan, anche il Programma nazionale di riforma, contenuto nel Documento di economia e finanza 2011 presentato il 13 aprile a firma congiunta Berlusconi-Tremonti, ha 11 giocatori in campo. L'elenco è articolato: riforma fiscale, Meridione, lavoro, opere pubbliche, edilizia privata, ricerca & sviluppo, istruzione & merito, turismo, agricoltura, processo civile, riforma della Pa e semplificazione. Per Giove, una lista da far tremare i polsi. Eppure, è come se mancasse qualcosa...

Certo! Le parole concorrenza, privatizzazioni, liberalizzazioni sono introvabili e non può essere un caso. È come se il Governo italiano, che a parole è pur sempre il vessillifero della libertà contro l'oppressione dello Stato, avesse sviluppato un'allergia ai concetti che meglio sintetizzano le libertà economiche. Peraltro, se il nostro esecutivo pensa di essere al passo coi tempi, in nome di un'imminente fine del mercatismo, evidentemente soffre di miopia.

In effetti, se è vero che da più parti s'invoca una maggior regolazione dei mercati finanziari, nessuno pensa che né loro né quelli di beni e servizi debbano essere meno concorrenziali. Non c'è Governo che osi propugnare la proprietà pubblica delle imprese: chi ha nazionalizzato in una situazione d'emergenza si sta affrettando a rimettere tutto sul mercato (come ha fatto con successo il Governo americano con General Motors e Chrysler) e inoltre, dalla Gran Bretagna alla Spagna, passando per la Grecia, i Governi stanno privatizzando, non acquistando aziende. La Ue continua a sfornare o a reclamare l'applicazione di direttive che vanno tutte nel senso dell'apertura dei mercati, non della chiusura, e persino Obama, che da bravo professore nato benestante odia chi guadagna troppo, innalza sempre peana in favore del libero commercio e persino del libero mercato. Tralasciamo infine, per carità di patria, l'esplosione di libera iniziativa che si registra nei Paesi emergenti. Insomma, se la giustificazione dell'inazione italiana è lo Zeitgeist, lo spirito del tempo hegeliano, bisognerebbe regolare gli orologi e cambiare filosofi.

Orbene, le liberalizzazioni non coincidono necessariamente con le “lenzuolate” di Bersani, un misto di timide aperture e di provvedimenti consumeristici o addirittura dirigisti; basterebbe attuare lo strumento che questa stessa maggioranza si era inventato, la Legge annuale sulla concorrenza, per ottenere riforme a costo zero in grado di aiutare il Paese. La norma “per il mercato e la concorrenza” avrebbe dovuto essere adottata ogni anno sulla scorta delle indicazioni fornite dall'Autorità Antitrust relative alle strozzature dell'economia italiana. Purtroppo, nel febbraio del 2010 l'Authority ha sfornato una serie di proposte ma la legge è rimasta lettera morta. Quest'anno il garante della concorrenza, non si sa se scoraggiato o scocciato, ancora non ha scritto niente.

Eppure le proposte non sono difficili: riguardano in primis i servizi postali e i vantaggi ancora attribuiti all'ex monopolista nonostante l'entrata in vigore della direttiva europea sulla liberalizzazione delle poste. Seguono i trasporti ferroviari, oggetto di un'audizione al Parlamento non più tardi di qualche mese fa e nella quale si sottolineava l'assenza di un regolatore indipendente, la commistione tra gestore della rete e fornitore dei servizi e l'esistenza di un quadro regolatorio “ambiguo”. Per le infrastrutture autostradali e aeroportuali si rilevava la lunghezza delle concessioni e la mancanza di una reale competizione nell'assegnazione delle stesse nonché l'assenza d'incentivi all'efficienza nel sistema di adeguamento delle tariffe. Per la distribuzione dei carburanti si sollecitava l'eliminazione dei vincoli all'offerta di altri prodotti e servizi nelle stazioni, mentre la filiera del gas sconta una carenza di modalità di selezione competitiva dei concessionari e di accesso non discriminatorio all'attività di stoccaggio.

Basta così. Si potrebbero aggiungere i servizi professionali (aggrediti invece dai tentativi di controriforma in corso in Parlamento) e quelli bancari ma non è necessario. Per migliorare il Programma nazionale di riforma rispetto ad ora non c'è bisogno di fare troppe cose.

adenicola@adamsmith.it
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