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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2011 alle ore 08:20.
L'ultima modifica è del 17 aprile 2011 alle ore 17:23.

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In un lungo intervento sul Sole 24 Ore (14 agosto 2008), il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli rivendicò «la responsabilità sociale che grava sull'impresa banca», di cui il banchiere deve farsi carico. Contro il modello "americano" che impone «l'imperativo categorico del continuo aumento dei profitti e del valore per gli azionisti», Bazoli proclamò il modello di una banca al servizio del Paese.

Nei giorni scorsi, sul Financial Times Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, ha ugualmente richiamato la funzione della banca per il Paese, anche se in maniera più sfumata, visto che doveva far digerire alla City un aumento di capitale di 5 miliardi.
Per giudicare cosa questo modello significhi in pratica, basta guardare alle due maggiori operazioni di sistema intraprese da Intesa Sanpaolo: Alitalia e Parmalat.

Cominciamo con Alitalia. Intesa Sanpaolo fu chiamata come consulente del Governo, che deteneva la maggioranza della compagnia di bandiera. Il piano Fenice, da lei elaborato, vide la stessa banca nel ruolo di uno degli acquirenti della "parte buona" di Alitalia. Nello spietato mondo americano, dove valgono le regole del profitto, ma anche quelle della trasparenza, un consulente del venditore non può assumere allo stesso tempo anche il ruolo di compratore, perché in palese conflitto di interessi. Ma in Italia, si sa, il conflitto di interessi non è un problema molto sentito. Anzi, il conflitto di interessi non esiste neppure, perché Intesa Sanpaolo non segue la spietata logica del profitto, ma opera nell'interesse del Paese.

Il piano Fenice prevedeva il commissariamento della vecchia compagnia, mettendo i nuovi azionisti al riparo da possibili rivalse di fornitori, creditori, vecchi azionisti e obbligazionisti. Nell'interesse del Paese, quindi, il piano Fenice espropriò i legittimi proprietari del poco di valore ancora presente in Alitalia, per trasferirlo alla nuova società, di cui guarda caso Intesa Sanpaolo è socia.

Che la procedura non fosse normale lo conferma il fatto che il Governo dovette fare un decreto per mettere al riparo gli amministratori di Alitalia, che altrimenti sarebbero stati perseguibili dagli azionisti e dai creditori. Per tener buoni gli azionisti, infine, si diede loro un indennizzo a spese del fondo di protezione degli azionisti contro le truffe finanziarie, previsto dalla Legge sul risparmio. Delle due, o il valore dell'attivo Alitalia era inferiore alle passività, e le azioni non valevano niente (ma allora perché rimborsarle anche parzialmente?) o non lo era, e il compito del commissario Fantozzi doveva essere quello di realizzare il massimo dall'attivo, non di svendere i (pochi) gioielli di famiglia al consulente-compratore. Se non bastasse, nell'interesse del Paese la legge Marzano fu modificata ad hoc per permettere l'operazione.

Dal punto di vista operativo, il piano Fenice prevedeva anche un nuovo modello basato «punto-punto sul breve raggio con quote dominanti nei principali aeroporti serviti». Tradotto in linguaggio corrente questo significa che la nuova compagnia area si specializzava nello sfruttare il potere di mercato conseguito nei principali aeroporti nazionali grazie al consolidamento con AirOne. Per questo una delle condizioni del piano fu la deroga dell'Antitrust sul mercato domestico da parte delle autorità nazionali ed europee. Se Intesa Sanpaolo fosse una banca orientata al profitto, tanto potere di mercato nelle mani di un solo operatore avrebbe spaventato. Ma trattandosi di una banca al servizio del Paese, il consenso dell'Antitrust fu ottenuto in un battibaleno.

Liberata dell'eccesso di manodopera (a spese dello Stato), dei debiti (a spese dei creditori) e dei vincoli concorrenziali (a spese dei consumatori), Alitalia potrà profittevolmente essere venduta da Intesa Sanpaolo ai francesi tra qualche anno.

Il piano Parmalat segue linee simili. Intesa Sanpaolo beneficia, sotto forma di un prezzo di acquisto minore, del decreto del Governo che paralizza Lactalis, costringendola a svendere. Intesa Sanpaolo beneficierà anche di una probabile revisione del decreto milleproroghe, che aveva impedito di distribuire la liquidità in pancia a Parmalat.

I consumatori faranno la loro parte, sopportando un forte aumento della concentrazione nel settore del latte. In nome dell'italianità di Parmalat, sarà concesso a Intesa Sanpaolo di vendere le principali partecipazioni estere di Parmalat al miglior offerente. La nuova entità beneficierà anche dei finanziamenti agevolati della Cassa depositi e prestiti.

Dobbiamo quindi riconoscere a Bazoli e Passera un brillante acume imprenditoriale. Nella patria del capitalismo spietato, dove le banche perseguono il profitto "alla vecchia maniera", spesso finiscono per perdere soldi. Ma nel Paese del capitalismo temperato, Intesa Sanpaolo ha trovato una strategia migliore: mettendosi "a servizio del Paese", ne riceve in cambio leggi e favori che le consentono profitti sicuri. È un modello brillante. Per la banca, soprattutto.

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