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Questo articolo è stato pubblicato il 19 aprile 2011 alle ore 08:10.
L'ultima modifica è del 19 aprile 2011 alle ore 09:32.

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Sbaglia chi derubrica il successo del partito populista finlandese a episodio di nazionalismo ai limiti del razzismo. Un Paese del Nord Europa, classificato dalle agenzie internazionali al top del rating, sente come una profonda ingiustizia dover intervenire per il salvataggio di Stati che hanno dilapidato il loro patrimonio nazionale ignorando ogni invito al rigore. La Grecia, il Portogallo forse, in un futuro prossimo, anche la Spagna.

Perché pagare per loro, si sono chiesti i finlandesi che hanno premiato con il 19% dei consensi il Suoni (Noi finlandesi)? La domanda andrebbe girata all'Europa, incapace di decidere. Per le politiche migratorie, come per quelle di bilancio. Da quasi due anni Bruxelles sfoglia la margherita greca senza arrivare a una posizione chiara, condivisa, ben comunicata ai mercati e ai cittadini. Ci si è divisi sullo strumentario di salvataggio, sui poteri, la dotazione, l'automatismo dell'intervento.

Così è stato, più di recente, sul tema immigrazione. Tutto ciò appare oggi come vuoto di forza e di governance. E si trasforma in spinta centrifuga: via dall'Europa, se l'Europa non sa decidere. E diventa solo un costo. L'antieuropeismo populista è l'effetto della tempesta perfetta dello stallo. Attenti: oggi il morbo tocca la Finlandia, ma non è detto che, a guardare certi segnali, altri paesi ne siano immuni.

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