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Questo articolo è stato pubblicato il 27 aprile 2011 alle ore 07:36.

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L'Opa di Lactalis su Parmalat è come una cartolina lenticolare. A seconda dell'angolo da cui la si guarda, l'immagine cambia. Una prospettiva è infatti quella dello Stato e del sistema Italia; l'altra è quella del mercato. Ma qualunque sia la visuale, la sintesi finale è una sola: c'è un confine tra Stato e mercato che nelle regole dell'Europa unita non è possibile valicare.

Il primo punto di vista è quello dello Stato. L'operazione di sistema, con il Governo come socio d'investitori privati attraverso la Cassa depositi e prestiti (Cdp), inevitabilmente deve superare la prova del mercato. Nel senso che il sistema deve essere in grado di pagare un prezzo superiore ad eventuali altri concorrenti e proporre un progetto industriale credibile per l'azienda. La difficoltà a coalizzare un gruppo d'investitori italiani, disposti a mettere mano al portafoglio e con una strategia chiara, si è scontrata con la determinazione di Lactalis, che invece dispone di entrambi, soldi e progetti.

La controproposta nazionale, qualunque sarà l'esito della partita, è comunque zoppa. Il piano industriale con dentro Granarolo è focalizzato sull'Italia e non ha orizzonti globali. L'alternativa è un progetto unicamente finanziario con il lato "reale" da definirsi in un secondo tempo.
Che il terreno di gioco sia il mercato è comunque inevitabile. Gli stessi strumenti attivati dal Governo sono di fatto a condizioni di mercato e non hanno finalità anti-straniero, se non nella demagogia della propaganda politica. Esattamente come l'omologo precedente francese, il Fond Stratégique d'Investissement, la Cdp agisce come un fondo privato d'investimento, anche eventualmente in partnership con investitori stranieri.

E l'ipotesi d'identificare settori strategici in cui condizionare l'investimento estero al parere preventivo delle autorità nazionali non è perseguibile. Anche il controverso piano francese voluto da de Villepin nel 2005 - e comunque sotto scrutinio europeo - si limita ad attività rilevanti per la sicurezza del Paese, definizione in cui certo non rientra Parmalat.
Il secondo punto di vista è quello del mercato e degli investitori stranieri. Nonostante le discutibili misure ad hoc, come la riapertura dei termini per la convocazione di assemblea, la concreta possibilità di un investitore nazionale ha paradossalmente rafforzato la contendibilità di Parmalat. Un bene è conteso se più soggetti lo vogliono comperare. La presunta cordata italiana, per quanto confusa ed esitante, ha comunque impedito ai francesi di conquistare la società senza coinvolgere il mercato e gli azionisti di minoranza e li ha obbligati all'Opa con un esborso di 3,3 miliardi.

Lactalis ha anche dovuto mettere sul tavolo un piano industriale credibile e attento al territorio e che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe preservare la filiera nazionale del latte, obiettivo centrale dell'attivismo del Governo su questo dossier.

Se Stato e mercato nella Parmalat hanno incontrato il loro reciproco limite, a questo punto è bene però riflettere su come i due possano invece essere sinergici. Gli interessi di un Paese non si difendono tutelando la nazionalità del capitale delle aziende, ma garantendo condizioni efficienti in cui produrre. Se vogliamo preservare la filiera del latte italiana, questa deve essere competitiva, altrimenti le promesse di Lactalis avranno le gambe molto corte. E la stessa cosa vale per qualunque altro settore.

Lo Stato è forse il principale fornitore d'input non commerciabili (ossia non importabili da altrove) indispensabili al sistema produttivo. Tali sono infatti le infrastrutture, le regole, l'efficienza della burocrazia. La vera partita per la competitività che deve giocare è dunque riuscire a fornire input di qualità a costi bassi. E allo stesso tempo, dato che il settore del latte è fortemente regolato, deve intervenire attivamente a livello europeo per impedire che il sistema delle quote latte sfavorisca ingiustamente i nostri allevatori.

Con i nostri cugini transalpini abbiamo una bilateralità quasi perfetta. Le imprese in Francia controllate da capitali italiani danno lavoro a 102mila persone, quelle in Italia a capitale francese a 104mila. Il nostro sistema produttivo si rafforza investendo in Francia e beneficia degli investimenti d'Oltralpe. E anche per produzioni molto legate al territorio come l'alimentare, la dimensione delle strategie di mercato è inevitabilmente globale.

Se Lactalis saprà conciliare la qualità dei nostri prodotti con una migliore presenza sui mercati internazionali, questo andrà a vantaggio di tutti.

barba@unimi.it

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