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Questo articolo è stato pubblicato il 26 aprile 2011 alle ore 09:20.
L'ultima modifica è del 26 aprile 2011 alle ore 09:27.

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Perché non deve ripetersiPerché non deve ripetersi

La musica è ripresa, con la stessa orchestra e gli stessi direttori di prima, sono cambiate le note e gli spartiti, sono quasi scomparsi i subprime con i loro pacchetti di riferimento Mbs e Cdo, ma si diffondono rapidamente altri strumenti finanziari (Etf) con modalità a volte altrettanto rischiose. Da segnalare, inoltre, che i nuovi pacchetti non si scambiano più tra operatore e operatore (banche in primis) ma tra operatore e risparmiatore finale.

La musica si assomiglia, restano le opacità, le complicazioni, le difficoltà a capire, soprattutto permane il rischio che si torni a vendere merce deperibile. Sia chiaro: non stiamo parlando dei meccanismi che hanno determinato la più grave crisi finanziaria globale, l'esplosione dei debiti privati americani e inglesi coperti da nuovo debito pubblico mondiale, ma riappaiono in circolazione prodotti «non standard» della fertile ingegneria finanziaria che nei momenti difficili «non hanno liquidità» e sui quali un uomo esperto e non aduso agli allarmismi, come Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia e presidente del Financial Stability Board, ha voluto accendere nei giorni scorsi un faro esortando a «una vigilanza più attenta da parte delle autorità».

L'inchiesta di Claudio Gatti, che pubblichiamo oggi e apre il giornale, è la prima di una serie di puntate, con le quali Il Sole 24 Ore vuole offrire ai suoi lettori uno spaccato documentale su quello che sta avvenendo sui mercati dei prodotti finanziari sintetici per capire se si è deciso davvero di chiudere con gli eccessi del passato o se, sotto sotto, si ricomincia daccapo. Per avvertire i nostri lettori se siamo dentro un intervallo necessario, in una fase di passaggio, o se rischiamo di ripiombare dentro la malattia.

Non è vero che non è stato fatto nulla in termini di nuovi controlli e di nuove regole, ma è un dato certo che per fare luce su un disastro che ha avuto un costo senza precedenti per le finanze pubbliche e le famiglie si è assegnato alla Commissione d'indagine ufficiale del Congresso americano una dote pari a un quinto di quella che fu attribuita alla Commissione d'indagine per il caso di Monica Lewinsky. Come dire: non traspare una volontà di andare fino in fondo, e la stessa legge di riforma dei mercati varata da Barack Obama nel luglio 2010 promette molto ma (al momento) garantisce poco.

Per motivi opposti, Cina e Paesi emergenti da una parte (siamo in ascesa, perché fare l'accordo oggi, meglio domani) e Stati Uniti dall'altra (aspettino, che cosa vogliono?) hanno reso di fatto impossibile, con un'Europa a sua volta divisa, la definizione di una nuova Bretton Woods che potesse dare un segnale politico chiaro alla speculazione e ristabilisse nei fatti il primato dell'etica e della trasparenza. Quello che, però, il mondo non si può più permettere è che gli accordi globali e le riforme sui controlli faticosamente approvati non si traducano in strumenti operativi e cogenti che conducano finalmente a una trasparente regolazione dell'industria finanziaria.

La parola è ora ai governi. Se ciò non avvenisse, l'Italia, che si è tenuta abbastanza fuori per il suo provincialismo dalla finanza allegra e ha già comunque pagato un conto molto salato per colpe in gran parte non sue, potrebbe aggiungere al danno la beffa. Scoprire, cioè, che il vecchio vizio americano, al quale ha peraltro partecipato ampiamente il gotha bancario europeo, contagi ora anche la provinciale virtù italiana e rischi di ridimensionare la dote dei nuovi aumenti di capitale sottraendo risorse al miglior capitalismo di casa nostra.

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