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Questo articolo è stato pubblicato il 03 maggio 2011 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 03 maggio 2011 alle ore 06:39.

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Ogni operazione condotta dai servizi segreti, una volta resa pubblica, è soggetta a voci controverse, a conferme o smentite. Saranno gli storici, fra una o più generazioni, analizzando fonti e archivi, ad appurare la verità. Il caso dell'operazione bin Laden non poteva sfuggire a questo tipo di narrazione. Di certo l'annuncio del suo ritrovamento e della sua uccisione ha colto il mondo di sorpresa perché sono passati dieci anni dall'attentato alle Twin Towers e perché bin Laden non appariva da tempo sugli schermi televisivi e sul web, e appariva di rado in registrazioni audio, sempre di complessa verificabilità.

Ma, in ogni caso, l'oscura icona di bin Laden è ormai impressa come un marchio sul terrorismo globale di matrice islamica, perché al-Qaida si rifà alla sua figura dal momento che lui ne fu il nefasto inventore; fu l'inventore di quello che chiamo un terrorismo "di terza generazione", che non è più un terrorismo della rivendicazione ma della destabilizzazione, la cui caratteristica è l'invisibilità dei protagonisti, contrariamente al terrorismo delle Brigate Rosse, quello della Rote Armee Fraktion tedesca o quello di Carlos, attualmente in prigione in Francia.

Negli anni 70 e 80 si poteva sapere quasi tutto di questi eserciti della paura; ma oggi quello di al-Qaida è avvolto da un alone di inafferrabilità perché si distingue per la sua invisibilità e imprevedibilità. Si capisce dunque che l'operazione svolta dai servizi americani rimane un importante successo dinanzi a una preda difficilmente catturabile, nonostante gli avanzati mezzi tecnologici di cui gli americani dispongono oggi. Nel mondo arabo è ancora troppo presto per analizzare le reazioni, ma è interessante osservare la differenza di vedute tra l'autorità palestinese e Hamas. Salam Fayyad ha accolto con favore la morte di bin Laden, e ha affermato: «Lo considero un grande evento, una pietra miliare, che segna la fine della vita di una persona coinvolta nel terrore e nella distruzione». Hamas invece, per voce del suo leader Ismail Haniyeh, condanna l'omicidio di Osama bin Laden: «Condanniamo ogni omicidio di un combattente di una guerra santa musulmana». Ho scelto di riportare queste due prese di posizione perché riflettono i due versanti delle opinioni pubbliche del mondo musulmano oggi, un mondo spezzato in due; e questo è ben chiaro al presidente degli Stati Uniti Barak Obama.

Paradossalmente il solenne discorso tenuto l'altro ieri sera da Obama, riecheggia il discorso da lui pronunciato due anni prima all'università di Al Azahr al Cairo, in cui insisteva sulla necessità di riconoscere l'Islam come civiltà e religione. Ma Obama ora ha insistito anche sul fatto che un Islam ormai mondializzato deve imparare a convivere con etnie e confessioni religiose diverse. Gli Stati Uniti sono già una società multietnica e pluriconfessionale; il trauma dell'11 settembre, nella visione di Obama, deve servire a distinguere fra l'Islam come fede e civiltà e l'Islam politico, che scivola anche nel terrorismo. La distinzione che fa Obama è fondamentale, perché l'uccisione di bin Laden accade in un ciclo della storia del mondo arabo e islamico in cui esso cerca di sbarazzarsi dell'anti-occidentalismo e dell'anti-americanismo che ha segnato la sua storia nel XX secolo.

Nel discorso di Obama, il porre l'accento sul fatto che viviamo in un società plurale significa che la questione islamica non è solo una questione americana, è una questione globale dunque mondiale; saperla governare è di fondamentale importanza nella futura grammatica delle relazioni internazionali, mentre l'Europa rimane titubante se non impaurita dinanzi ai suoi vicini sulla sponda sud del Mediterraneo.

Nell'attuale cacofonia globale, nella grave crisi economica in atto, gli economisti americani cominciano a capire che il Mediterraneo è fondamentale nello sviluppo dell'economia globale: rappresenta un potenziale mercato e il mercato si sviluppa dove ci sono giovani che possono consumare; tutto questo dovrebbe capirlo anche l'Europa.

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