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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2011 alle ore 09:21.

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La giornata nazionale della previdenza che si è svolta ieri fa sorgere diversi interrogativi. È davvero utile quest'iniziativa? Non si tratta forse di un'imponente, quanto tardiva, operazione di marketing per evocare quanto bravo sia stato il Paese nel riformare il sistema prima che crollasse sotto il peso dell'invecchiamento e di promesse politiche improntate al populismo?
Come allontanare, d'altra parte, la maliziosa interpretazione secondo cui «ci danno più informazioni ma meno pensioni»?
Dobbiamo invece superare i dubbi e salutare con favore questa iniziativa che consente una doverosa riflessione sulla previdenza, parte integrante sia della storia sia del futuro del paese. In passato quasi nessuno ne sentiva il bisogno perché le regole erano semplici, le certezze e le garanzie molte, così come abbondante era la generosità nel rapporto tra prestazioni e contributi. Di più: anche senza molta informazione era chiaro a tutti che la permanenza al lavoro dopo il raggiungimento dei requisiti minimi per la pensione di anzianità comportava una "tassa sul lavoro" (una riduzione del valore complessivo dei diritti pensionistici, cioè, in gergo, della "ricchezza pensionistica") e questo bastava per indurre al pensionamento anticipato.

C'erano, è vero, aspetti meno noti, e meno decorosi, come il facile trasferimento di oneri alle generazioni future o l'opacità complessiva del sistema, favorita dalla sua frammentazione in una molteplicità di schemi, ognuno valido per una particolare categoria di lavoratori, ciò che induceva ciascuno a cercare un proprio privilegio, e gli uni a rincorrere gli altri. Nel complesso, però, i lavoratori intuivano procedure, distorsioni e garanzie e sfruttavano i vantaggi che si nascondevano nelle pieghe del sistema, senza curarsi dei corrispondenti oneri.
Le cose sono profondamente cambiate con le riforme. Oggi il sistema è finanziariamente sostenibile, ma le garanzie sono diminuite, l'incertezza è aumentata, i margini di scelta dei lavoratori si sono ampliati e ci sono lezioni da imparare.
La prima lezione che dovrebbe risultare chiaramente dalla giornata della previdenza è che non esistono pensioni gratuite.

La seconda lezione è che ciascuno sarà maggiormente responsabile della propria pensione e che, in linea generale, dovrà pagarsi la pensione con il proprio lavoro (la solidarietà è ovviamente prevista, ma limitata a fattispecie determinate). Ma la responsabilità si associa necessariamente a conoscenza. E quindi il minimo che ci si deve attendere è un'informazione corretta sul cambiamento delle regole, e specificamente sul passaggio dalla pensione retributiva a quella contributiva. Non interessa ai cittadini la complessa formula con la quale i benefici saranno determinati, né sapere come è costruito il coefficiente che trasforma in pensione il cumulo (montante) dei contributi. Interessano i principi di base e le caratteristiche principali delle nuove pensioni: la loro stretta corrispondenza con i contributi (ogni euro versato conta e gli euro versati in giovane età pesano molto di più nella somma cumulata al pensionamento; lavorare in nero ha un costo molto elevato in termini di rinuncia alla futura pensione); il legame, quasi un gioco cooperativo, che si instaura tra la pensione del singolo e il tasso di crescita dell'economia (quanto più alta è la crescita del Pil, tanto maggiore è il rendimento riconosciuto sui contributi); la correlazione positiva tra età al pensionamento e importo della pensione (diversamente dalla pensione di anzianità, la pensione contributiva non soltanto cresce proporzionalmente ai contributi versati negli anni addizionali di lavoro, ma soprattutto tiene conto della minore durata del periodo di pensionamento).

La terza lezione è che le garanzie generalizzate per un'economia che cresce poco o punto, come la nostra, sono un lusso e finiscono per tradursi in privilegi per i ricchi.
La quarta lezione, forse la più importante, è che la pensione pubblica non basterà più. Occorrerà quindi risparmiare (anche se ciò è difficile per chi ha soltanto un lavoro precario), partecipare alla previdenza integrativa, programmare e, più in generale, prepararsi al pensionamento. È ovvio che i normali cittadini non possono diventare esperti previdenziali. E però importante che si diffonda la percezione che le pensioni sempre meno dipenderanno dalla "benevolenza" dei politici, e sempre più saranno il risultato di un "libretto pensionistico" personale del quale si dovrà quindi avere grande cura.

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