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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2011 alle ore 08:54.
L'ultima modifica è del 06 maggio 2011 alle ore 08:55.

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Nel mese di ottobre 2008, nel pieno della crisi finanziaria, la quota di clienti di una grande banca italiana che investiva in obbligazioni della stessa banca improvvisamente sale dal 10 al 30 per cento. È come se in una osteria tre clienti su dieci (invece del solito uno su dieci) decidono tutto ad un tratto di bere il vino della casa. Lo fanno perché quel vino è diventato straordinariamente buono o perché l'oste trova ora più conveniente proporlo (anche se ne ha in cantina uno migliore)?
È improbabile che proprio durante la crisi, quando diversi clienti fuggivano dai depositi delle banche, molti trovassero le obbligazioni bancarie così appetibili: in fondo il rischio da cui gli investitori volevano proteggersi era proprio nelle banche. Più verosimile che le banche stessero insistentemente proponendo le loro obbligazioni ai clienti meno avveduti per ottenere la liquidità di cui avevano tanto bisogno. Ovvero, anziché agire nell'interesse del cliente agivano prioritariamente nel proprio.

Questo problema nel collocamento delle obbligazioni bancarie in Italia non è nuovo ma non ha mai trovato soluzione. In un recente lavoro R. Grasso, N. Linciano, L. Pierantoni e G. Siciliano - ricercatori presso la Consob - hanno esaminato un campione di 2.258 emissioni obbligazione di un vasto numero di banche italiane con collocamento effettuato sia presso investitori istituzionali (ovvero investitori sofisticati, 140 casi) sia direttamente presso i loro stessi clienti (2.117 casi). Emerge che le quando le stesse obbligazioni vengono vendute ad investitori esperti rendono mediamente 90-100 punti base in più di quando vengono vendute direttamente ai clienti. Quando vendono le loro obbligazioni ai clienti le banche offrono rendimenti che spesso non superano quello di un titolo di stato con simile scadenza; addirittura le banche più rischiose riescono a vendere ai clienti obbligazioni con tassi di rendimento inferiori a quelli di una obbligazione con la stessa scadenza ma emessa dal tesoro.

È difficile pensare che ci sia una sola persona che se messa a scegliere tra investire in un titolo che rende il 3 per cento e un altro che rende il 4, e i due titoli siano per il resto identici, preferisca quello che rende il 3. Ma se anche ce ne fosse uno che "ama" le banche e "odia" il tesoro e per amore è disposto a prestare alle banche anche se il tesoro paga meglio, è certamente incredibile che a preferire il titolo che rende di meno siano in milioni - tanti sono i sottoscrittori di obbligazioni bancarie. Per di più se questi investitori sapessero che il titolo che rende di meno è anche più rischioso e meno liquido (più difficile da rivendere in caso di bisogno) avrebbero un ulteriore ragione per non sottoscriverlo. Questo è quello che accade con le obbligazioni bancarie. Rispetto a titoli simili emessi dal Tesoro le obbligazioni delle banche sono mediamente più rischiose perché il rischio emittente eccede quello dello Stato; diversamente dai depositi non sono coperte dal fondo di garanzia e quindi in caso di default della banca il sottoscrittore sopporta la perdita. Per di più sono meno liquide rispetto ai titoli del debito pubblico. Molte obbligazioni non hanno un mercato secondario e di fatto è la banca emittente che si offre di ricollocarle vendendole a un altro cliente. Ma questo richiede tempo e la rinuncia a una parte del valore per vendere in fretta. Questo è il motivo per cui gli investitori istituzionali, che hanno la capacità di prezzare il rischio di default e il rischio di liquidità domandano un premio di 100 punti base per sottoscrivere questi titoli.

La capacità di prezzare il rischio manca alla maggior parte dei clienti delle banche che spesso non conoscono i rendimenti dei titoli disponibili sul mercato e raramente li sanno ordinare per rischiosità. Per cui si affidano al consiglio della banca la quale, in conflitto tra agire nell'interesse del cliente o in quello proprio antepone quest'ultimo al primo, e si guarda bene dal dire al cliente che esiste un titolo più sicuro che rende altrettanto se non di più del suo.
La incapacità dei clienti di prezzare il rischio è provata anche da altri due fatti documentati nello studio Consob: primo, nel caso di collocamento diretto presso i clienti non vi è nessuna correlazione tra la rischiosità della banca e il rendimento delle loro obbligazioni; quando invece le stesse obbligazioni vengono collocate presso investitori esperti le banche più rischiose o che emettono titoli meno liquidi devono offrire un rendimento più elevato. Secondo, dopo il fallimento di Lehman Brothers quando le banche sono diventate più rischiose e quindi avrebbero dovuto corrispondere un interesse più elevato ai sottoscrittori delle loro obbligazioni, il rendimento sale per le obbligazioni vendute agli investitori istituzionali ma scende per quelle collocate presso i loro clienti. La conclusione è che le banche che hanno incentivi più forti a sfruttare il conflitto di interesse sono le banche peggiori e lo fanno più intensamente nei momenti di difficoltà.

Ma quanto costa questa sottrazione di interessi ai risparmiatori? Se, come attestano le stime Consob, mediamente le obbligazioni bancarie collocate presso le famiglie rendono 100 punti base meno di quanto dovrebbero poiché le famiglie detengono circa 400 miliardi di euro in obbligazioni bancarie (Banca d'Italia, La ricchezza finanziaria delle famiglie) la perdita che sopportano è intorno ai 4 miliardi di euro all'anno: poco meno di un terzo della manovra finanziaria per il 2011 e maggiore delle perdite inferte ai risparmiatori dal default dell'argentina.

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