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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2011 alle ore 08:12.

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Sono tanti quelli che oggi si meravigliano del numero delle liste e dei candidati delle prossime amministrative del 15 e 16 maggio. In realtà i dati di questa tornata elettorale non fanno che confermare un trend che va avanti dal momento in cui è crollata la Prima Repubblica e sono spariti i due grandi partiti che l'avevano caratterizzata. Da allora si è assistito a un continuo aumento della frammentazione partitica con l'unica e irripetibile eccezione delle elezioni politiche del 2008.


In quella occasione si affrontarono due nuovi partiti – Pd e Pdl – che scelsero di fare due mini-coalizioni invece della maxi-coalizioni del passato e del futuro. Sembrava l'inizio di una nuova fase nella storia del bipolarismo frammentato della Seconda Repubblica ma era solo una illusione. I due nuovi partiti si sono dimostrati creazioni fragili. L'antica propensione italiana al "particulare" ha ripreso il sopravvento. La frammentazione è di nuovo in aumento in Parlamento e nel paese. Queste elezioni amministrative ne sono l'ennesima prova.


Nei trenta comuni capoluogo in cui si voterà Domenica e Lunedì prossimi il numero di liste nelle precedenti elezioni era in media 19. È salito a 21,6. L'incremento non è particolarmente elevato. Quello che fa impressione è il punto di partenza. Il dato medio nasconde situazioni assolutamente patologiche. A Milano le liste in lizza sono addirittura 40. A Torino sono 36. In confronto Napoli fa una bella figura visto che sono solo 32. Una volta si registrava una differenza significativa tra Nord e Centro da una parte e regioni del Sud dall'altra. Oggi non è più così. L'epidemia si è diffusa in tutto il paese.


Oltre al numero medio delle liste è salito anche il numero dei candidati a sindaco. Negli stessi trenta comuni capoluogo si è passati da una media di 5,5 nelle comunali precedenti ad una media di 8 in questa tornata elettorale. L'aumento è più significativo di quello relativo alle liste. Anche in questo caso il Nord batte il Sud. A Milano i candidati sono 14 contro gli 11 di Napoli e i 5 di Caserta, tanto per fare degli esempi. Quanto alle liste che fanno capo ai due schieramenti maggiori c'è da registrate un dato in controtendenza per quanto riguarda il centrosinistra. In questa area nel 2006 il numero medio di liste era 8 e oggi è meno di 6. Le liste del centrodestra sono più o meno le stesse, circa 6. È invece quasi raddoppiato il numero medio delle "altre liste" passando da 5 a 9,3.


Questa patologica frammentazione ha delle cause precise. Alcune affondano le loro radici nella storia e nella cultura del nostro paese. Altre sono di origine più recente. Tra queste la crisi dei partiti di massa e delle ideologie su cui si fondavano occupa un posto centrale. Anche su questa causa non è possibile incidere nel breve termine. Molto invece si può fare sulle cause direttamente connesse al sistema elettorale. La politica è diventata un grande business che dà lavoro, reddito e influenza a tanti piccoli e grandi imprenditori.


Il suo sviluppo dipende dagli incentivi offerti dalle regole del mercato politico. La proliferazione delle liste è il risultato di queste regole. Primo, ogni lista, anche la più piccola, serve a far vincere con i suoi voti uno dei candidati-sindaco. Questo vale anche per le liste che non raggiungono la soglia per ottenere seggi. Ogni lista è una rete. Più liste appoggiano un candidato sindaco più reti vengono gettate e più voti vengono raccolti. Secondo, per i tanti politici di professione presentarsi alle elezioni con una lista personale è un modo di dimostrare la consistenza della propria base elettorale. Ci si conta e poi si negozia con il sindaco vincente. Oppure ci si presenta senza alleanze, ci si conta e una volta dimostrato il proprio peso elettorale si negozierà con il migliore offerente alla successiva tornata elettorale-comunale, provinciale, regionale o politica. Business is business. Così va la politica nell'Italia di oggi.

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