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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2011 alle ore 08:59.
L'ultima modifica è del 14 maggio 2011 alle ore 08:13.
L'economista Colm McCarthy ha criticato con acume la gestione della crisi dell'euro da parte della Banca centrale europea in un editoriale pubblicato il 1° maggio dal The Irish Independent.
McCarthy ci dice che «è scoraggiante dover ascoltare le prediche dei funzionari della Bce, che sembrano considerare la crisi bancaria europea essenzialmente come una commedia morale sulla gestione dei conti pubblici».
Dopo aver letto il commento di McCarthy, il professore di economia Kevin O'Rourke così ha replicato sul sito The Irish Economy: «Mischiando nella testa dei cittadini crisi bancaria e crisi dei conti pubblici, la Bce ottiene anche l'effetto di alimentare sentimenti antieuropeisti nei Paesi del nocciolo duro dell'euro, perché i contribuenti di quei Paesi comprensibilmente non gradiscono l'idea di dover sovvenzionare gli irresponsabili contribuenti dei Paesi della periferia. Se invece si dicesse con maggiore franchezza che siamo alle prese con una crisi bancaria che riguarda tutta l'Europa, i contribuenti di ogni Paese capirebbero di avere interessi comuni e un nemico comune, nello specifico un settore finanziario fuori controllo. In uno scenario simile, i semplici elettori vedrebbero l'Europa come un'entità che ha un contributo positivo da offrire, perché se l'attività bancaria travalica i confini nazionali anche la normativa deve travalicare i confini nazionali. In questo momento, invece, "l'Europa" è vista come uno degli elementi fondamentali del problema; e nel caso della Bce è vero».
È proprio così. L'estensione del caso greco all'insieme della crisi, cioè l'insistenza da parte dei funzionari europei che è tutto un problema di gestione irresponsabile dei conti pubblici e che la Grecia è l'esempio perfetto di tutto quello che non ha funzionato, è uno spettacolo impressionante, e non in senso buono.
È vero, la Grecia nel 2007, alla vigilia della crisi, aveva un debito alto e un deficit alto. Il Portogallo aveva un deficit ingente, ma un debito pari a quello della Germania. E l'Irlanda e la Spagna, che erano addirittura in attivo poco prima della crisi, sembravano dei modelli di gestione responsabile dei conti pubblici (George Osborne, che ora è il ministro dell'Economia del Governo britannico, scriveva, in un articolo pubblicato sul Sunday Times nel febbraio 2006, che l'Irlanda «era un fulgido esempio dell'arte del possibile nella politica economica a lungo termine»). Ora sappiamo che l'apparente salute dei conti pubblici d'Irlanda e Spagna poggiava in gran parte sulle bolle immobiliari, ma all'epoca nessuno lo diceva. E non ho sentito nessuno spiegare in che modo l'introduzione di nuove regole per la gestione dei conti pubblici possa impedire il ripetersi di una crisi analoga. È incredibile la foga con la quale i funzionari europei rigettano i dati di fatto più evidenti e insistono su una versione degli eventi coerente con i loro preconcetti.
Insomma, si comportano quasi come... americani.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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