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Questo articolo è stato pubblicato il 18 maggio 2011 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 18 maggio 2011 alle ore 06:39.
Da un lato la Commissione europea e la presidenza di turno ungherese dell'Ecofin, che in sostanza dicono: è preferibile una direttiva sul segreto bancario ancorché incompleta al nulla.
Dall'altro, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che sulla revisione della direttiva sulla tassazione dei non residenti oppone un ragionamento che suona più o meno così: se una norma non è dotata di apposito meccanismo sanzionatorio, non è una norma. E allora il sospetto, più che fondato, è che in sostanza buona parte degli Stati europei hanno scelto di accettarne - come ha sostenuto ieri Tremonti all'Ecofin - la «sistematica violazione». Non è mai piaciuta granché questa direttiva al titolare dell'Economia, che ha ammesso più volte di averla accettata nel 2003 solo perché allora era l'Italia a presiedere la Ue. Sono in gioco gli interessi di Paesi Ue che difendono ciò che resta del segreto bancario, come Austria e Lussemburgo, e quello di banche offshore o di capitali che viaggiano in una «darwiniana evoluzione di strumenti». Certo i meccanismi decisionali europei hanno i loro tempi, ma la posizione di Tremonti, che blocca per ora la trattativa (occorre l'unanimità), appare condivisibile: senza sanzioni, la norma è «pura filosofia».
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