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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2011 alle ore 08:13.

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La Juve cerca la svolta e lancia il «suo» stadioLa Juve cerca la svolta e lancia il «suo» stadio

Luci all'Olimpico non ne accenderanno più. Per la Juventus almeno. Ma lo stadio di Torino dalla storia non uscirà, lui che la storia l'ha vista per davvero: da Sivori a Boniperti, da le Roi Michel a Gaetano Scirea. Chiude lo stadio Olimpico (che per gli abitudinari torinesi è rimasto Comunale).

Domenica, quando l'arbitro fischierà la fine di Juventus-Napoli, vada come vada il conto dei gol, quella gara sarà storia: sarà l'ultima dei bianconeri all'Olimpico (dove continuerà a giocare solo il Torino). A fine maggio iniziano le prenotazioni degli abbonamenti (palchi e posti vip sono già venduti) e ad agosto si trasloca nella nuova casa della Juve, nell'impianto che è quasi pronto alla Continassa.

Chiude lo stadio della curva Scirea Sud, chiude lo stadio che aveva visto sbocciare la felice Olimpiade del 2006, poi, tre anni fa aveva chiuso il Delle Alpi, così freddo e inospitale. Inizia una nuova partita. Proprio lo stadio di proprietà sarà il primo mattone sul quale erigere, forse, campionati da Juve. Dopo le ultime annate sportive in cui il bianconero si è spesso annacquato in un grigio stinto, il presidente Andrea Agnelli ha in mano la chiave finanziaria per lasciare il segno sulla Juve e sul calcio italiano.

Secondo lo studio 2011 della Deloitte, la Juve realizza solo l'8% dei ricavi grazie all'impianto di gioco: fra i venti club europei più importanti, è quello con la percentuale più bassa, niente a che vedere con il redditizio 42% dell'Arsenal, il 35% del Manchester e il 34% dell'Amburgo. In termini assoluti, il club bianconero non è, per introiti da stadio, neppure fra i primi venti: in testa il Real Madrid con 129,1 milioni, in coda il Werder Brema con 27,8 milioni. Eccola, la sfida: vincere - quando si tornerà in Champions League - sul campo contro le "merengues" e anche nei conti, investendo il fatturato da stadio (tra i 20 e i 40 milioni, secondo le stime) in giocatori, vivai, preparatori. Creare un circolo virtuoso così estraneo al calcio di casa nostra.

Lo stadio da 41mila posti, con negozi, museo e cinema, è stato disegnato dall'architetto Gino Zavanella e nasce sulle macerie del vecchio Delle Alpi: il calcestruzzo è stato triturato e recuperato; alluminio, acciaio e rame inviati in fonderia (con un risparmio di 500mila euro). L'investimento complessivo - 120 milioni - è coperto da un contratto con il Credito Sportivo, da SportFive, Nordi Conad e dalle casse della società di corso Ferraris. Un'operazione coraggiosa, in linea con i modelli europei e che diventerà avanguardia in Italia. Un'operazione oculata rispetto agli sperperi di uno stadio simile, per concezione e rispetto ambientale, quello di Gelsenkirchen, costato 340 milioni, o rispetto alle follie del nuovo Wembley (750 milioni di sterline). E manca ancora uno sponsor che voglia affiancare il proprio nome alla casa della Juve, sborsando una quarantina di milioni in cinque anni.

Certo, all'inizio, non ci sarà il fascino rétro del Craven Cottage dove il magnate Al Fayed guarda il suo Fulham da un palchetto reale, non ci sarà l'onda rossa dell'Old Trafford, né la voce di Anfield Road, che urla You'll never walk alone. Ci sono le fondamenta e tutto è da costruire, da Antonio Conte in avanti. Si può partire da Ale Del Piero, l'unico juventino che avrà giocato in tutti e tre i campi della Juve. O da quella copertura dello stadio, traslucida come il baluginare di tanti occhi che vedranno le opere e i giorni juventini. Dai diamanti non nasce niente, da una nuova casa sì.

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