Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2011 alle ore 07:46.
L'ultima modifica è del 24 maggio 2011 alle ore 06:38.
Dicano quel che si vuole, ma bene come in Italia non si vive da nessuna parte. Noi statalisti, soprattutto, ce la passiamo alla grande. Tanto per cominciare, mentre qualcuno ha scritto che i liberisti sono un po' grigi, noi siamo gioviali. Avete mai visto un politico, un boiardo di Stato o un imprenditore ammanicato alle commesse pubbliche mogio? No, sono sereni, sorridenti, a volte smargiassi.
Inoltre siamo abbastanza scaltri. Sappiamo che socialismo, statalismo e dirigismo per strani motivi suonano male. E allora ci siamo reinventati l'economia sociale di mercato, che ai tempi del miracolo economico tedesco del dopoguerra significava la protezione sociale dei ceti più deboli all'interno di una vibrante economia privata, da noi vuol dire la protezione sociale dei privilegiati all'interno di una vibrante spesa pubblica. E in effetti, per definirsi liberisti o dirigisti non c'è bisogno di tirare in ballo da una parte le barzellette del premier o le sue feste eleganti e dall'altra le zingaropoli.
Ciò che mi rende uno statalista felice è prima di tutto la spesa pubblica: 52% del Pil nel 2009, 51% nel 2010. Certo, m'infastidisce un po' il fatto che Tremonti ne tagli qualche fettina, ma sono rassicurato dalla massa enorme d'interessi costituiti che a un certo punto ne fermeranno la discesa. E mi consolo con le entrate dello Stato, sempre tra il 46 e il 47%; tolta l'economia sommersa, dunque, gli onesti versano quasi il 60% dei loro redditi al mio amico, il Leviatano. I soldi sono importanti: grazie a loro noi possiamo intermediare, creare connivenze, far sì che ognuno abbia interesse a mantenere salda la presa sulla sua fettina di sussidi non accorgendosi che il loro totale soffoca tutti.
Che altro fa sorridere lo statalista? Beh, la possibilità di ficcare il naso nelle decisioni economiche altrui. Prendiamo i mercati finanziari: se arriva un acquirente sgradito di una società, il Governo subito s'infila a cambiare le norme e creare ostacoli. Persino il presidente della Consob, invece che fare l'arbitro, ha cominciato a teorizzare la differenze tra Opa buone e cattive, sottintendendo che la pubblica autorità debba bloccare le cattive. E nel frattempo ecco che il Parlamento generosamente si prende carico di obbligare le società private a inserire le quote rosa nei consigli d'amministrazione. Per i liberisti è un provvedimento iniquo e inefficiente, per noi no: è un'altra occasione affinché lo Stato asserisca la sua lungimiranza.
D'altronde chi le vuole tutte queste imprese private? Dopo un decennio di lieve sbandamento, fortunatamente né destra né sinistra hanno la benché minima intenzione di mollare la presa sulla miriade di aziende pubbliche che, a detta dei liberisti, fanno concorrenza sleale, generano corruzione e distruggono valore. Poveretti, loro scribacchiano il Manifesto per le privatizzazioni (www.adamsmith.it), noi facciamo le leggi che danno la possibilità alla Cassa depositi e prestiti di diventare un grande fondo di public equity: nazionalizzazioni-chic.
Siamo vincenti, non c'è che dire. Il Governo approva una timida riforma per consentire la gestione dell'acqua ai privati, visto lo stato disastroso degli acquedotti e le perdite enormi sopportate da contribuenti e utenti? Noi facciamo un bel referendum abrogativo, strilliamo che il Capitale ci asseta e persino in piazza San Pietro il 9 giugno ci sarà una bella manifestazione dei preti anti-privatizzazione. Tonache assetate di giustizia, beate loro. Non c'è da preoccuparsi, siamo in tanti: docenti delle scuole pubbliche che non vogliono la concorrenza delle private, magistrati, accademici, burocrati, sindacalisti che, al contrario di quel che pensano quei fessi di liberisti, e cioè che il nostro mercato del lavoro sia il più ingessato, protettivo e discriminatorio del mondo, sollecitano norme ancor più inclusive e protettive.
Vi stupite se noi statalisti ce la godiamo? Noi siamo gli italiani veri, gli allegroni che hanno capito la lezione di Frédéric Bastiat, secondo il quale il socialismo è quella finzione in cui tutti vivono alle spalle degli altri. In Italia solo alcuni, e sono i più felici!
adenicola@adamsmith.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Permalink
Ultimi di sezione
-
Italia
Agenzia delle Entrate sotto scacco, rischio «default fiscale»
-
L'ANALISI / EUROPA
L'Unione non deve essere solo un contenitore ma soggetto politico
Montesquieu
-
NO A GREXIT
L’Europa eviti il suicidio collettivo
-
Il ministro dell'Economia
Padoan: lavoreremo alla ripresa del dialogo, conta l’economia reale
-
LO SCENARIO
Subito un prestito ponte
-
gli economisti
Sachs: la mia soluzione per la Grecia