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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2011 alle ore 07:27.
L'ultima modifica è del 24 maggio 2011 alle ore 09:07.
Le elezioni amministrative di domenica scorsa rappresentano un punto di svolta per la Spagna meno scontato di quello che può apparire. La bocciatura di Zapatero e dello zapaterismo - sconfitto anche a Barcellona - si chiama crisi, mancata ripresa, disoccupazione galoppante. Il leader socialista spagnolo, che aveva preso un Paese in corsa dopo i governi del socialista Felipe Gonzales e del popolare José Maria Aznar, e lo aveva condotto con coraggio su una strada riformista e modernizzatrice, non ha pagato per aver aperto una società secolarizzata, per i suoi scontri al calor bianco con la Chiesa, per aver aperto ai matrimoni gay.
Ha pagato davanti a un Paese messo in ginocchio dalla disoccupazione. I senza lavoro in Spagna hanno superato il 21% della popolazione attiva, mentre tra i giovani con meno di 25 anni la percentuale sale al 44 per cento. Un giovane su due in Spagna è senza lavoro. Gli indignados, che hanno riempito le piazze in questi giorni, sono giovani alla ricerca di un barlume di speranza per il futuro. Riforme, produzione, crescita, lavoro. Una scommessa che tutti i governi d'Europa devono vincere per portare i loro Paesi definitivamente fuori dalla crisi.
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