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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2011 alle ore 06:39.
Più soldi in busta paga o servizi alle famiglie? Premi in denaro o frammenti di welfare? C'è un pezzo di industria italiana che ha risposto alla domanda. Soprattutto nelle regioni più ricche (Lombardia) e nei settori da sempre di frontiera (i chimici). Seicento gli accordi "innovativi" censiti dalla Cisl che disegnano una contrattazione di secondo livello sempre più spostata verso prestazioni sociali, dall'assistenza medica integrativa ai buoni per asili nido, agli assegni per i libri di testo dei figli. È un trend in ascesa. Che si spiega con la crescente - e insoddisfatta - domanda di servizi che arriva dalle famiglie italiane.
Le vie del nuovo welfare aziendale, quasi un micro-esperimento in vitro di sussidiarietà virtuosa, meritano di essere incoraggiate. Ponendole ancor più fuori dal cono d'ombra del cuneo fiscale. Sottoporre a tassazione di maggior favore i servizi erogati dall'impresa potrebbe infatti configurarsi come un gioco in cui tutti guadagnano e nessuno perde. L'azienda che redistribuisce un premio più leggero per le proprie casse, quella che eroga un (nuovo) servizio, il cittadino lavoratore. Se lo Stato non può fare, almeno lasci fare. Premendo meno su chi fa.
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