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Questo articolo è stato pubblicato il 26 maggio 2011 alle ore 08:40.
L'ultima modifica è del 26 maggio 2011 alle ore 08:43.

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I grandi Paesi emergenti sono impegnati nella non facile ricerca di una candidatura unica da opporre, entro i prossimi giorni, al ministro francese Christine Lagarde per la guida del Fondo monetario. Un modo per affermare, una volta di più, che gli equilibri dell'economia mondiale sono cambiati e che la voce delle nuove potenze dev'essere ascoltata.

Anche se con la consapevolezza, come ha ammesso ieri il rappresentante del l'India nel consiglio dell'Fmi, Arvind Virmani, che «sarà difficile che la scelta cada su un non europeo», data l'attuale ripartizione dei diritti di voto, che spettano per il 27% all'Unione europea e il 17% circa agli Stati Uniti, cui possono sommarsi altri Paesi avanzati.

Poche ore prima dell'annuncio della Lagarde, i direttori dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) nel consiglio Fmi hanno emesso un comunicato in cui bollavano la tradizione di un capo europeo per il Fondo come una «obsoleta convenzione non scritta», che può pregiudicare la credibilità e la legittimità del l'istituzione, e invocavano per se stessi «un'adeguata rappresentanza nel management del l'Fmi». I Brics non rivendicano quindi esplicitamente la direzione, ma sono certamente interessati a una diversa ripartizione dei pesi fra i vicedirettori, oltre che a una continuazione della riforma, a loro favore, delle quote del Fondo già avviata da Dominique Strauss-Kahn.

Attualmente il più importante dei vice, di fatto il numero due dell'organizzazione, spetta agli Usa e quello in carica, John Lipsky, sta svolgendo le funzioni di direttore dopo le dimissioni di Dsk e in attesa della nomina del successore, prevista entro il 30 giugno. Lipsky stesso lascerà al termine del suo mandato, a fine agosto, e questo potrebbe consentire di ridisegnare le deleghe dei vice (gli altri sono al momento un giapponese e una anglo-egiziana, oltre a un consigliere speciale cinese). Peraltro, gli Stati Uniti hanno già pronto un nome per succedere a Lipsky, il veterano delle amministrazioni Clinton e Obama, David Lipton.

Nella loro nota, i Brics non avanzano candidature, anche perché l'unica presentata finora, quella del governatore della Banca centrale messicana Agustin Carstens, non incontra per il favore di tutti, in particolare dei brasiliani (e infatti Carstens aprirà la sua campagna con un viaggio a Brasilia). Il ministro brasiliano Guido Mantega ieri si è limitato a dichiararsi soddisfatto che ci sia più di un candidato.

Lo stesso Carstens, che è stato ministro delle Finanze del suo Paese, ma anche vicedirettore al l'Fmi, ha annunciato di voler difendere «la bandiera dei Paesi emergenti», ma anche di non dimenticare che in questo momento è l'Europa a essere in cima all'agenda del Fondo, che partecipa con la Ue ai pacchetti di salvataggio di Grecia, Irlanda e Portogallo. Intanto, però, la Russia ha dichiarato di voler appoggiare l'improbabile banchiere centrale kazako Grigory Marchenko, mentre la Cina si è dovuta trincerare dietro un no comment sulle dichiarazioni del Governo francese secondo cui Pechino sarebbe pronta a sostenere la Lagarde.

Nei Paesi emergenti c'è qualche rimostranza sul fatto che l'Europa stia cercando di accelerare i tempi della successione a Strauss-Kahn, quasi per metterli davanti al fatto compiuto, e ci sono forti obiezioni alla giustificazione per scegliere di nuovo un europeo, e cioè l'impegno del l'Fmi nel Vecchio continente. «Un'argomentazione non molto convincente», ha detto in un'intervista il governatore della Banca d'Israele, Stanley Fischer, ex numero due del Fondo e da molti considerato un eccellente candidato di compromesso. Al quale ora la discesa in campo della Lagarde e la presumibile confluenza dei Brics su Carstens non lasciano più spazio.

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