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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2011 alle ore 08:53.

«...i lavoratori di fronte ad un'azione diretta a promuovere la rinascita economica e civile dell'Italia, pur trovandosi nelle condizioni che sappiamo, pur essendo essi i più sacrificati della società, sono giunti oggi nel nostro Paese a un grado di maturità tale, ad un grado di sensibilità così elevata verso gli interessi generali della società nazionale, che questi lavoratori, pur soffrendo, sono disposti ad accollarsi un sacrificio supplementare per portare un proprio contributo al successo del piano lanciato dalla Cgil» (applausi).

Resoconto integrale (pagina 27) della relazione introduttiva di Giuseppe Di Vittorio alla conferenza della Cgil del febbraio del '50 dedicata al Piano del Lavoro da lui stesso ideato che puntava a creare nuova occupazione attraverso un forte rilancio degli investimenti. In un Paese che non aveva niente, il sindacalista di Cerignola strappa gli applausi dei «suoi lavoratori» ai quali sta chiedendo ulteriori sacrifici in cambio di una prospettiva che altrimenti non c'è.

Uomini come Di Vittorio, Valletta, Menichella e Vanoni, con l'autorevole sostegno di De Gasperi ed Einaudi, rinunciarono tutti a un pezzetto di qualcosa e seppero intrecciare intelligenza tecnica, riformismo cattolico e cultura laica in un disegno di sviluppo "europeista" che ebbe la sua sintesi algebrica in una crescita del Pil pro capite del 260% nel quindicennio post bellico.

Quegli uomini non avevano niente, partivano dalle macerie della guerra, e hanno fatto il miracolo economico italiano. Mezzo secolo dopo i figli di quei padri devono essere in grado di ripetersi, costi quel che costi, guardando in faccia la realtà, individuando e colpendo anomalie e distorsioni non più tollerabili, bandendo egoismi personali e miopie diffuse. Soprattutto, devono farlo insieme. Nulla ci può far credere che l'Italia possa impunemente accettare di essere condannata al declino.

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