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Questo articolo è stato pubblicato il 28 maggio 2011 alle ore 12:14.
L'ultima modifica è del 28 maggio 2011 alle ore 12:15.

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Ancora una volta le liti pubbliche tra i Paesi membri dell'Eurozona stanno destabilizzando i mercati finanziari nell'area euro, spingendo gli spread dei tassi di interesse sui bund tedeschi a livelli mai raggiunti prima - oltre 2.300 punti base per i titoli biennali del debito greco - e scatenando i timori di contagio ad altri Paesi.
Due sono le ragioni. La prima è cosa vecchia: era chiaro fin dall'inizio che il programma di aggiustamento greco non era sostenibile e che il Governo greco non sarebbe stato in grado di riguadagnare l'accesso ai mercati privati dall'anno prossimo. Nonostante i sacrifici straordinari già compiuti dalla Grecia - che ha ridotto il suo disavanzo pubblico di oltre 5 punti percentuali del Pil in meno di un anno - la forte caduta dell'attività ha impedito di realizzare tutti gli obiettivi concordati. Questo scenario abbastanza probabile è stato visto in Germania come la prova che non ci si può fidare della Grecia; gli ulteriori finanziamenti necessari per il biennio 2011-12, circa 66 miliardi, sono visti come un nuovo salvataggio e dovranno essere approvati da un Bundestag sempre più restio. Sentimenti simili sono alimentati da partiti politici populisti negli altri Paesi creditori dell'area euro. Poco importa che fino ad ora non sia stato trasferito nemmeno un penny dai Paesi creditori a quelli debitori.

La seconda ragione invece è una novità: il braccio di ferro tra i Governi dei Paesi creditori dell'area euro e la Bce sulla possibilità di qualche tipo di ristrutturazione - anche "soffice" - del debito greco. Qualche giorno fa Jürgen Stark, membro del comitato esecutivo della Bce, aveva minacciato, in caso di modifica delle condizioni sul debito, di escludere i titoli greci dal rifinanziamento della Bce.
Come mai la Bce prende una posizione così dura? I titoli del debito greco nel portafoglio della Bce, circa 40 miliardi, non sono la preoccupazione principale. Il problema più significativo è la crescente esposizione dell'Eurosistema verso i Pigs attraverso le operazioni di rifinanziamento alle banche. Alla fine di marzo 2011, i crediti complessivi della Bundesbank verso l'Eurosistema erano di circa 330 miliardi di euro (erano 177 miliardi a fine 2009), all'incirca corrispondenti alla posizione debitoria netta di Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Alla stessa data, i crediti delle banche centrali nazionali nei confronti delle banche domestiche - che a loro volta sono i principali detentori dei titoli di Stato - erano pari al 54% del Pil in Irlanda, al 38% in Grecia e al 23% in Portogallo.

Dunque le prime vittime di una ristrutturazione del debito sovrano sarebbero la Bce e l'Eurosistema. Inoltre, gli stretti limiti operativi imposti ai meccanismi ufficiali di finanziamento dell'Eurozona impediscono alla Bce di sgravare il suo bilancio dai titoli di cattiva qualità, senza destabilizzare il sistema finanziario dell'Eurozona.
Dunque, le difficoltà della Grecia hanno meno a che fare con le inadempienze della Grecia, molto di più nel disegno istituzionale dei meccanismi creati per la gestione delle crisi. Gli stessi problemi si ripresenteranno con l'Irlanda e con il Portogallo, ogni volta con rischi crescenti che il tessuto della cooperazione all'interno nell'Eurozona si laceri irreparabilmente. Non c'è alternativa: quei meccanismi devono essere modificati.

Innanzi tutto, è indispensabile circoscrivere il coinvolgimento politico diretto dei membri dell'Eurozona nelle decisioni sulla gestione delle singole crisi e nel monitoraggio dell'implementazione, in modo tale da isolare le scelte dalle contingenze politiche nazionali. Ciò richiede che le decisioni operative sui singoli programmi siano demandate all'executive board del meccanismo europeo di stabilità (Esm), secondo regole e procedure simili a quelle del Fondo monetario internazionale - naturalmente seguendo le linee guida stabilite dai ministri delle Finanze dell'Eurozona, ma non dietro dirette istruzioni.

Secondo, è necessario spezzare lo stretto legame tra la decisione di offrire assistenza finanziaria a uno Stato membro dell'Eurozona e i bilanci pubblici nazionali, consentendo all'Esm di finanziarsi liberamente in base alle necessità per ripristinare la salute finanziaria dei Paesi in crisi e di assorbire eventuali perdite con adeguato capitale proprio - come già avviene per la Bei. Naturalmente, i bond sarebbero emessi con garanzia "individuale e congiunta" degli Stati membri; ma solidi programmi di assistenza finanziaria, con adeguata condizionalità, assicurerebbero che le garanzie non debbano essere attivate.

Terzo, all'Esm dovrebbe essere attribuita la flessibilità operativa necessaria per garantire il successo dei suoi programmi di assistenza finanziaria: esso dovrebbe poter acquistare titoli di Paesi in crisi sul mercato secondario (attraverso interventi affidati alla Bce); scambiare titoli di Stato con le proprie obbligazioni, anche con la Bce; offrire i propri titoli come collaterale per operazioni di rifinanziamento del debito dopo una ristrutturazione, come nel piano Brady di fine anni 80. Questi meccanismi dovrebbero essere applicati immediatamente ai programmi di assistenza finanziaria già adottati, con un nuovo mandato del Consiglio europeo all'Efsf e alla Commissione.
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