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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2011 alle ore 14:08.
L'ultima modifica è del 29 maggio 2011 alle ore 14:43.

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Esportare paga. È l'unico vero salvagente contro la crisi. Tanto più per imprese con un mercato di prossimità meno dinamico, come quelle meridionali. È quanto si può desumere dalla ricerca di Unioncamere sulle aziende del Mezzogiorno nel triennio 2006-2008, cioè il periodo che ha preceduto e in parte scontato la grande crisi internazionale.

La riclassificazione dei bilanci mette in luce come chi aveva una consolidata propensione ai mercati stranieri ha tenuto. Il Roe, l'indicatore che esprime il rendimento del capitale di rischio, è risultato negativo in due anni (-1,2% e -0,9%) e nell'altro appena positivo (0,4%) per le imprese che hanno come sbocco il mercato nazionale, mentre è risultato sempre positivo tra le società che esportano. Certo, confrontarsi con mercati lontani è un rischio, una spesa, una fatica. Manca una regia unica o almeno una governance efficace tra gli enti che dovrebbero dare sostegno. Però non c'è che questa strada per restare attaccati al treno dell'economia globale. Fare rete tra imprese - attuando economie di scala che abbassino i costi - e tra istituzioni e associazioni di rappresentanza. Si può fare anche al Sud. Perché esportare, alla fine, paga.

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