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Questo articolo è stato pubblicato il 31 maggio 2011 alle ore 06:54.
L'ultima modifica è del 31 maggio 2011 alle ore 08:13.

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Biagio Agnes era un mio grande amico, per me questo è un momento molto triste. Oggi voglio ricordare che lui, insieme a Ettore Bernabei, è stato l'inventore del servizio pubblico radiotelevisivo, che ne ha fissato e interpretato la reale missione, quella di far crescere il Paese e non certo di diseducarlo, come troppo spesso ormai viene fatto in nome dell'Auditel.

Un servizio pubblico rispettoso del cittadino che non la pensa come te, che parli a tutti e di tutti abbia coscienza. Avevo incontrato Biagio Agnes appena una settimana fa, e ci eravamo abbracciati. Ero fiero di questo rapporto, che ha segnato molti anni della mia vita. Allora, quando ci conoscemmo, il direttore generale della Rai era un uomo invisibile di cui non si parlava. Fu lui a rompere il ghiaccio quando nel 1984 condussi il programma in tv sui sessant'anni della radio dal titolo Cari amici vicini e lontani. Gli piacque talmente tanto che venne di persona negli studi facendoci una sorpresa durante le prove: fu accolto dall'applauso di tutte le persone che lì lavoravano.

Di lì a poco ricordo che in un mio articolo sull'Espresso dal titolo «Ingrata radio non avrai le mie ossa» criticai la gestione dei tre direttori radiofonici dell'epoca che a mio avviso stavano distruggendo la radio pubblica. Fui convocato dal presidente Sergio Zavoli che con estremo garbo mi disse che formalmente doveva rimproverarmi un po'. Ma mentre si svolgeva il colloquio - io ero emozionato. Quando mai ero stato convocato ufficialmente dal presidente di Viale Mazzini? - entrò Agnes nella stanza del presidente e con la simpatia avellinese che lo ha sempre caratterizzato disse a Zavoli indicandomi: «Chillo, o' guaglione, ave ragione!». La sintesi più efficace di attaccamento all'azienda, competenza e simpatia. Finì che ci mangiammo un panino insieme e feci pace anche con i direttori da me criticati: addirittura uno dei tre mi chiese l'autografo per suo figlio.

Ma altri momenti hanno segnato questo rapporto. Il 1985 era stato l'anno del grande successo di Quelli della notte, ma nel 1986 la Rai dovette affrontare il grande esodo verso la Fininvest di tre colonne come Raffaella Carrà, Pippo Baudo ed Enrica Bonaccorti: mi disse «Vedi tu cosa bisogna fare!». E io mi inventai Indietro tutta: era un rischio, una specie di salto mortale, ma ebbe ancora più successo. Da allora la nostra amicizia si consolidò ed è durata fino ad oggi. Eravano d'accordo sui valori di fondo per una politica sana, del resto le nostre radici erano comuni, meridionali e cattoliche, anche se nella mia vita, rispetto alla sua, ho fatto alcune birichianate.

Tra le intuizioni che hanno lasciato un segno forte va ricordato che Biagio ha inventato Celentano conduttore, affidandogli Fantastico nel 1987: dopo un avvio incerto si rivelò un successo clamoroso. A questo va aggiunto che non era politicamente invasivo, e del resto fu lui a creare Rai Tre, per dare voce alla sinistra rappresentata dal Pci.

Al di là di questi ricordi lieti voglio aggiungere che Biagio Agnes è stato un esempio, che la sua opera rappresenta in qualche modo la ragione sociale del servizio pubblico, che è il rispetto del pubblico. Io sono nato con Mamma Rai, radio e tv, e vorrei che tutti i cittadini sapessero in ogni momento che la Rai è al loro servizio. Di tutti i cittadini.

Questa era la filosofia di Biagio, il suo codice di comportamento, a cui mi auguro attinga la Rai moderna, quella che deve affrontare con successo le sfide del futuro.

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