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Questo articolo è stato pubblicato il 01 giugno 2011 alle ore 09:27.

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No, il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, non si è accorto solo ieri che il peso eccessivo del fisco costituisce uno dei principali freni allo sviluppo e alla crescita. Non si è accorto ieri che le tasse penalizzano in modo particolare i contribuenti onesti, quelli che le pagano davvero, quelli che non evadono un euro.
Basta rileggere tutte le precedenti considerazioni finali di Draghi, a partire dalle prime del maggio 2006, per ritrovare puntualmente il richiamo al tema della pressione fiscale troppo elevata e a quello dell'opportunità di una sua riduzione.
Quest'anno, però, il Governatore sembra essersi spinto oltre. Rispetto al passato, Draghi pare - in qualche modo - aver voluto spronare il Governo ad aver più coraggio. Senza mezzi termini, non ha esitato ad affermare che le aliquote «andrebbero ridotte in misura significativa» sui redditi dei lavoratori e delle imprese. E non ha esitato a dire che il minor gettito legato alla riduzione delle percentuali di prelievo andrebbe compensato «con ulteriori recuperi di evasione fiscale, in aggiunta a quelli, veramente apprezzabili, che l'Amministrazione fiscale ha recentemente conseguito».

Quasi uno slogan: "Pagare tutti, pagare meno". O se si preferisce: "Lotta all'evasione contro aliquote più umane".
Non è un caso, probabilmente, che l'auspicio del Governatore coincida proprio con uno dei principali obiettivi indicati dal Governo quale priorità per la riforma del sistema di tassazione (ancora da scrivere). Una riforma, e anche questo potrebbe non essere un caso, che proprio in queste settimane ha ritrovato un posto d'onore nell'agenda di politica economica del un governo, che - tra l'altro - deve con urgenza porsi il problema del recupero di consenso, specie dopo una tornata elettorale decisamente sfavorevole.
Insomma, in passato il Governatore era parso più cauto nell'indicare la direzione da imboccare per invertire la rotta di un prelievo diventato sempre più insopportabile e sempre più distante (verso l'alto) dai partner europei e internazionali.

«La pressione fiscale resta troppo elevata» - ripeteva ogni anno Draghi - ma forse mai si era spinto a dire esplicitamente che le aliquote devono essere ridotte (o, almeno, che dovrebbero esserlo). Ieri lo ha ribadito anche a proposito delle imprese, quando ha affermato che «per incentivare il ricorso al capitale di rischio andrebbe ridotto (…) il carico fiscale sulla parte dei profitti ascrivibile alla remunerazione del capitale proprio». E poi ha aggiunto: «Includendo l'Irap, l'aliquota legale sui redditi d'impresa supera di quasi sei punti quella media dell'area dell'euro».
Certo, l'idea di poter finanziare la riforma fiscale con i soli proventi della lotte all'evasione è suggestiva ma forse non facilmente praticabile, almeno nel breve periodo. Draghi riconosce all'amministrazione finanziaria il merito di aver bene operato in questi anni (nel 2010, ricordiamolo, il gettito qualificato come "recupero di evasione" ha - secondo i comunicati dell'agenzia delle Entrate - superato i 10,5 miliardi che diventano oltre 25 considerando anche le minori compensazioni di crediti di imposta e i contributi Inps).
Il Governatore, evidentemente, è convinto che i margini di miglioramento restino ampi: che molto possa essere ancora fatto per intercettare una parte sempre più consistente di quei 120 miliardi di euro (o più), tra imposte e contributi sociali, che ogni anno sfuggono al fisco tra evasione e sommerso.

Altre strade saranno, poi, percorribili. La relazione della Banca d'Italia evidenzia come permanga una sproporzione tra tassazione diretta e indiretta (14,6% contro 14%). Anche in questo caso, obiettivo della riforma è proprio quello dello spostamento del carico fiscale dai redditi ai consumi.
Molto, ovviamente, dovrà essere fatto anche sul fronte della spesa, per trovare all'interno del bilancio dello Stato, risorse aggiuntive da destinare al taglio delle tasse.
Infine, il federalismo fiscale, a tutti gli effetti, l'altra "gamba" del nuovo fisco. Attenzione, sembra dire il Governatore: tutti d'accordo su decentramento e autonomia impositiva dei diversi livelli di governo. A patto però che i nuovi tributi locali siano compensati dai tagli a quelli "centrali". Come dire: il federalismo non può diventare lo strumento per far rientrare dalla finestra ciò che con la riforma fiscale vogliamo far uscire dalla porta. Un altro monito da non lasciare cadere nel vuoto.

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