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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2011 alle ore 17:46.
Che le imprese italiane in generale siano dotate di patrimoni inferiori rispetto a quelle degli altri Paesi avanzati; che abbiano fonte di finanziamento esterna in grande misura di origine bancaria; che, infine, l'assetto familiare della compagine imprenditoriale sia la causa della loro arretratezza, che mette in discussione la nostra ripresa, è una chiara denuncia contenuta nelle recenti Considerazioni finali, le ultime da Governatore, di Mario Draghi.
Vero è che il sistema bancocentrico non ha mai facilitato la nascita di un alternativo mercato finanziario e che il motivo dell'indifferenza delle imprese verso il mercato non può essere ricondotta solo al carico fiscale sui profitti destinati a remunerare il capitale. Le radici sono, infatti, più profonde e debbono essere ricercate nella cultura, nella tradizione e nella prassi giuridica delle imprese, insomma in quella che i giuristi anglosassoni chiamano "path dependance".
Nel capitalismo familiare italiano i proprietari sono, nella gran parte, anche i manager delle imprese, sicché quando nella riforma del diritto societario s'è voluto introdurre storpiandolo il sistema dualistico, con il consiglio di sorveglianza e quello di gestione, si è invocata la necessità di mantenere alla guida dell'impresa le vecchie generazioni dei padri, fondatrici dell'impresa, insieme con le nuove dei figli, evitando contaminazioni di manager dall'esterno. La commistione proprietari-manager fu, assai autorevolmente, esaltata e già qualificata come esempio vincente di "capitalismo virile", con buona pace della quota rosa.
Eppure, soprattutto le piccole e medie imprese, che costituiscono l'ossatura della nostra economia, dovrebbero essere aiutate nell'innovazione e nel ricorso al capitale di rischio, facilitando l'intervento degli investitori, istituzionali e no, anche al fuori del sistema bancario.
Magari come avviene in altri Paesi, con la creazione di circuiti finanziari differenziati e regole diverse (ad esempio nel "Novo Mercado" brasiliano). Ciò faciliterebbe sia l'entrata delle giovani generazioni nel mercato del lavoro, sviluppando altresì le loro vocazioni imprenditoriali, sia una più accorta e produttiva destinazione del risparmio privato.
Purtroppo la nostra cultura è basata ancor oggi più nel coltivare un sistema chiuso invece che aperto, che privilegia la stabilità del controllo societario, piuttosto che la contendibilità delle imprese. Di conseguenza si legalizzano e proteggono tutti gli istituti che servono a garantire un controllo asfittico, dai sindacati azionari alle piramidi societarie, al "tunneling" attraverso il quale i benefici del controllo si dirigono solo a danno della società che lo subisce. Gli investitori istituzionali sono pertanto scoraggiati a intervenire e impegnarsi attivamente in un sistema zeppo di norme contraddittorie o desuete che rendono l'interpretazione e l'applicazione del diritto estremamente arbitraria.
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