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Questo articolo è stato pubblicato il 07 giugno 2011 alle ore 08:12.
L'ultima modifica è del 07 giugno 2011 alle ore 06:40.

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Tra pochi mesi l'export italiano ritornerà, salvo imprevedibili sorprese, agli stessi livelli in valore che aveva raggiunto al culmine del ciclo espansivo precedente l'attuale crisi, smentendo così molte Cassandre. Infatti, nei dodici mesi "scorrevoli" tra ottobre 2007 e settembre 2008 le nostre esportazioni avevano raggiunto un massimo storico a quota 376,5 miliardi di euro.

Poi erano precipitate ad un minimo di 291,6 miliardi nel periodo febbraio 2009-gennaio 2010, ricominciando da allora a riprendersi, rima molto lentamente, poi sempre più velocemente. Già nei dodici mesi del 2010 l'export italiano si è riportato a 337,6 miliardi ma nei primi tre mesi 2011 ha accelerato, salendo nei dodici mesi "scorrevoli" compresi tra aprile 2010-marzo 2011 a 351,9 miliardi.
A questo punto, mancano poco meno di 25 miliardi di euro per tornare ad eguagliare il record ante-crisi. Impresa non difficile, considerando che i primi tre mesi di quest'anno hanno già aggiunto 14 miliardi al dato annuale del 2010. E che il solo commercio estero extra Ue è aumentato di altri 2 ad aprile. Anche se i prossimi due trimestri rallentassero e crescessero solo di una decina di miliardi di euro ciascuno rispetto ai dodici mesi cumulati precedenti, il periodo ottobre 2010-settembre 2011 dovrebbe vedere il nostro export toccare i 370 miliardi, per poi superare probabilmente il record storico pre-crisi nel periodo dicembre 2010-novembre 2011. In uno scenario più negativo, che riguarderebbe peraltro tutti i Paesi esportatori e non solo l'Italia, il raggiungimento dei livelli di export pre-crisi da parte del "made in Italy" potrebbe essere rimandato di un trimestre o due.

In Italia, dunque, c'è una ripresa che funziona ed è quella dell'export. Nonostante i fiumi di parole spesi per rimarcare il divario di competitività del nostro Paese rispetto alla Germania, il ritardo temporale di recupero dei massimi pre-crisi da parte dell'export italiano rispetto a quello tedesco in realtà è attualmente di non più di 6-7 mesi. Infatti, l'export della Germania probabilmente eguaglierà i suoi massimi storici in valore soltanto nel periodo maggio 2010-aprile 2011, superando nuovamente i mille miliardi di euro che erano stati toccati tra il novembre 2007 e l'ottobre 2008. Inoltre, negli ultimi trimestri i tassi di crescita dell'export della Germania hanno visibilmente rallentato, mentre quelli dell'Italia si sono riportati a livelli tedeschi (si veda il grafico).

Se il Pil italiano cresce poco, dunque, non è certamente colpa delle imprese esportatrici. Purtroppo per noi, stanno crescendo anche le importazioni (sia di energia sia di beni intermedi) e quindi il contributo della domanda estera netta al Pil italiano è, in questa fase, limitato. Ma nemmeno in Germania l'export è ormai più motore di crescita come lo è stato lo scorso anno. Infatti, nel 2011 la maggior parte dell'aumento del Pil tedesco sarà generato dagli investimenti, che non potranno aumentare ai tassi attuali all'infinito.
Se poi analizziamo la dinamica del valore aggiunto manifatturiero italiano e tedesco dal 2007 al 2010, possiamo notare altri tre aspetti interessanti. Il primo è che sia in Italia sia in Germania il valore aggiunto manifatturiero nel 2010 era ancora notevolmente inferiore in volume rispetto ai massimi del 2007, con un maggior terreno da recuperare da parte dell'Italia (-16,4%) rispetto alla Germania (-12,3%), ma con uno scarto non eccessivo. Il secondo aspetto è che anche nel quadriennio 2007-2010 è proseguita la dinamica divergente, sia pure in misura minore rispetto al passato, tra i deflatori tedeschi ed italiani del manifatturiero, con quelli tedeschi cresciuti solo del 3,2% tra il 2007 ed il 2010 e quelli italiani aumentati del 6%. Infine, il terzo aspetto è che se consideriamo i dati del valore aggiunto manifatturiero a prezzi correnti, nel 2010 il terreno ancora da recuperare rispetto al 2007 risultava non molto dissimile tra Italia e Germania (-11,5% e -10,4%, rispettivamente).

Quest'ultimo dato, senza nulla togliere al dinamismo e all'indiscussa forza della manifattura tedesca (che ha colossi come Volkswagen, Siemens, Daimler, Bmw, Basf, Bosch che in Italia non abbiamo e non avremo mai), contraddice la tesi piuttosto in voga negli ultimi tempi secondo cui la più vigorosa ripresa attuale del Pil tedesco rispetto a quello italiano sarebbe guidata da una superiore performance dell'industria tedesca e dalle riforme strutturali messe in campo negli anni precedenti dalla Germania. In realtà, i settori produttivi in cui nel 2010 la Germania ha più sensibilmente recuperato rispetto ai livelli del 2007 sono, a prezzi correnti: l'aggregato del commercio, dei trasporti, dell'accoglienza e della ristorazione (+2,1% contro -1,1% dell'Italia), dove più che le riforme hanno pesato gli incentivi ai consumi; le costruzioni (+5,7% contro -1,9% dell'Italia); la finanza e il settore immobiliare (+6,8% contro +4,2% dell'Italia).

Che l'Italia necessiti di riforme strutturali è indubbio e assolutamente necessario (per modernizzarci e ridurre gli squilibri). Ma che le riforme possano da sole far improvvisamente crescere il Pil nazionale di uno o più punti rispetto ad oggi è tutto da dimostrare. Non solo per cause specifiche del nostro Paese ma per la situazione globale nel suo insieme. Infatti, attualmente la crescita in Occidente è strutturalmente ferma, come mostra il caso degli Stati Uniti. Lo stesso Economist sottolinea come, nonostante l'enorme quantità di denaro pompato nell'economia, gli Usa non riescano a uscire dalla crisi e a far ripartire l'occupazione: una situazione "comatosa".

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