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Questo articolo è stato pubblicato il 07 giugno 2011 alle ore 08:06.
L'ultima modifica è del 07 giugno 2011 alle ore 06:40.
Secondo il dipartimento degli Stati Uniti per la sicurezza nazionale, il giro d'affari globale del cybercrimine ammonta a mille miliardi di dollari l'anno. Soltanto per l'economia britannica la Bae Systems valuta una perdita di 25 miliardi di sterline. Eppure ai ladri elettronici interessati soprattutto alle carte di credito negli ultimi mesi si sono aggiunte altre squadre di pirati che hanno sferrato efferate offensive contro alcune aziende che collaborano con le agenzie della Difesa degli Stati Uniti.
Di recente Lockheed Martin ha affrontato un attacco «significativo e tenace», come evidenzia in una nota ufficiale in cui sottolinea anche di non aver subìto perdite di dati. Altri due fornitori della difesa Usa, L3 e Northrop Grumman, hanno affrontato incursioni. Le offensive elettroniche lanciate dai criminali richiedono capacità sofisticate per superare barriere difensive con standard elevati. Non è opera di ragazzi alle prime armi. Pochi giorni fa il Pentagono ha annunciato un giro di vite: considerare «un atto di guerra» il sabotaggio informatico contro gli Stati Uniti, operato con il supporto di altri Paesi. Valuterà, quindi, risposte con «mezzi militari tradizionali». Mancano regole internazionali per gestire la cybersicurezza. «Da anni conosciamo la vulnerabilità di centrali elettriche e acquedotti gestiti attraverso sistemi informatici, ma soltanto da poco il problema è arrivato sulle prime pagine dei giornali», sottolinea Pennasilico.
A far salire l'attenzione sull'emergenza del crimine elettronico è stata anche l'ultima denuncia di Google: ha rivelato che i pirati hanno preso di mira la posta elettronica di funzionari del Governo americano, inclusa la Casa Bianca. E ha indicato l'origine degli attacchi elettronici nella città cinese di Jinan, sede dell'accademia Lanxiang che coltiva assi dell'informatica da reclutare nell'esercito. Il segretario di Stato, Hillary Clinton, ha commentato: «Queste affermazioni sono molto serie e stiamo valutando l'evolversi della situazione». Già un anno fa Google aveva annunciato un'altra operazione di intrusione elettronica, ma diretta contro sue infrastrutture su internet. E, in seguito, ha spostato il suo motore di ricerca da Pechino a Honk Kong. Ma non ha abbandonato la Cina, dove continua a distribuire il suo sistema operativo per cellulari Android.
Complica lo scenario l'intensificarsi dell'hactivism, una sorta di attivismo politico che utilizza il supporto delle tecnologie digitali. È emblematico il caso di WikiLeaks, l'archivio di documenti gestito da Julian Assange: il gruppo di hacker Anonymous ha attaccato aziende come Amazon e Visa che hanno rifiutato il loro supporto alla rivelazione di informazioni riservate. Gli "anonimi" (o anon, come si fanno chiamare su internet) formano una rete distribuita: uniscono talenti del software e utenti comuni che prestano la potenza di calcolo dei loro computer per attacchi in grado di intasare i siti web (Ddos) fino a renderli irraggiungibili. Ma su internet i confini tra crimine, spionaggio, sabotaggio e terrorismo tendono ormai a intrecciarsi.
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