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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2011 alle ore 08:28.
L'ultima modifica è del 08 giugno 2011 alle ore 06:39.

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Ogni giorno trascorso nel 2010 le ecomafie hanno messo nel portafoglio quasi 53 milioni di euro. Alla fine dell'anno sono stati 19,3 miliardi. Un giro d'affari che dal 1992 ha portato 281 miliardi nei forzieri dei 290 clan dediti al traffico di rifiuti o di opere d'arte, al mattone selvaggio o al racket di animali.

Non ci si può stupire che il montepremi delle cosche corra così tanto se, in campo ambientale, ogni giorno si compiono 84 reati, 3,5 all'ora, gran parte dei quali proprio a opera della criminalità organizzata.
In testa alle infrazioni ambientali ci sono le regioni del Sud (Campania, Calabria, Sicilia e Puglia) ma è preoccupante l'escalation della Lombardia e lo stato critico di Lazio, Toscana, Sardegna e Liguria.
Le stime sono di Legambiente che ieri ha presentato a Roma il Rapporto Ecomafia 2011. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha fatto pervenire una nota nella quale ha affermato che «su tali fenomeni la vigilanza istituzionale deve essere particolarmente attenta per evitare pericolose forme di collegamento tra criminalità interna e internazionale, distorsioni del mercato e rischi per la salute dei cittadini».

Nella premessa al Rapporto il capo della Procura nazionale antimafia, Piero Grasso, a proposito di mercato globale, ha scritto che «per poter offrire un adeguato contrasto a questo nuovo e inquietante agire della criminalità organizzata, non si può più pensare di operare isolatamente ma occorre una legislazione omogenea e una forte e convinta collaborazione fra gli Stati e fra i vari organismi preposti alle attività di contrasto e controllo».
Il calcolo del business ecomafioso è presto fatto. La gestione illegale dei rifiuti speciali è scesa da 7 a 3,3 miliardi: la cifra si ottiene dal censimento ufficiale dell'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) che confronta i quantitativi prodotti e quelli gestiti. Se nel 2009 i rifiuti spariti erano 31 milioni di tonnellate, nel 2010 sono stati 14,5 milioni. Una valutazione controversa, sottolinea Legambiente: è come se si mettessero in fila 82.181 tir carichi di rifiuti, uno dietro l'altro, per un percorso lungo 1.117 chilometri, più o meno come da Reggio Calabria a Milano.

Il fatturato che finisce nelle tasche dei clan mafiosi da investimenti nelle opere pubbliche si aggira intorno agli 11 miliardi. L'abusivismo edilizio è a quota 1,8 miliardi. Un dato che rispecchia la stabilità del fenomeno dell'edilizia fuorilegge: 26.500 unità abitative abusive nel 2010 (27mila nel 2009). «Il risultato, se letto alla luce della congiuntura economica che colpisce anche il settore delle costruzioni - sottolinea il Rapporto -, acquista un valore oltre modo preoccupante». Il cemento selvaggio non accusa il contraccolpo della crisi.

Non accenna ad arrestarsi l'escalation dei reati penali in campo ambientale, che nel 2010 sono stati 30.824, con un incremento del 7,8% rispetto all'anno precedente. Diminuiscono invece le persone denunciate, 25.934 (l'anno prima erano 28.472), gli arresti, che si fermano a quota 205 (316 nel 2009) e i sequestri 8.771 (nel 2009 erano 10.737).
L'analisi di Legambiente approfondisce anche l'aggressività delle cosiddette archeomafie, riuscendo per la prima volta, grazie soprattutto alle stime del Comando dei Carabinieri a tutela del patrimonio culturale, a quantificare il business in poco più di 216 milioni.
I furti dei tesori sono stati – come scrivono i ricercatori – uno stillicidio continuo. Lo scorso anno sono stati 983 i furti d'opere d'arte (l'anno prima erano stati 1.093), quasi 3 al giorno. È cresciuto anche il numero di oggetti di valore trafugati: 20.320 (erano 13.219 nel 2009). In totale 1.237 persone indagate e 52 arresti.

Per quanto riguarda la classifica nazionale, le regioni più colpite si confermano Lazio, Lombardia, Campania e Toscana. Sono sempre le chiese e gli istituti religiosi i luoghi preferiti dai ladri, quasi sempre su commissione: 403 furti accertati, il 49,3% del totale.
Le archeomafie e i loro clienti non conoscono barriere che riescano a ostacolarli. Anzi. È il web il più grande e frequentato mercato illegale per i beni culturali. Nel biennio 2009-2010, durante operazioni avviate dopo il monitoraggio dei siti online, i Carabinieri hanno individuato e sequestrato 81.419 reperti di vario tipo.
La maggioranza dei sequestri riguarda beni di carattere numismatico (40.644), reperti archeologici (13.032), libri e documenti d'archivio (8.741). In realtà, le categorie "merceologiche" trattate sono molto più numerose (comprese opere d'arte false: 8.184), tali da ricomprendere sostanzialmente tutte le tipologie di beni culturali. Le persone coinvolte sono liberi professionisti nel 77% dei casi e impiegati nel 10 per cento. Spesso gli acquisti e le vendite "disinvolte" online non coinvolgono criminali, ma collezionisti incuranti, se non proprio ignari, delle conseguenze penali.

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