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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2011 alle ore 08:46.
L'ultima modifica è del 10 giugno 2011 alle ore 06:39.

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«Professore, è vero che l'acqua è un bene pubblico, che non può essere venduta con un prezzo come se fosse una merce qualsiasi?». Ai miei studenti che mi hanno fatto questa domanda, ho così risposto. Era un pomeriggio caldo di metà maggio e molti di loro avevano sul banco bottigliette di acqua che stavano bevendo e quindi è stato facile spiegargli... quello che sanno.

Quello che tutti gli italiani sanno. E cioè che l'acqua che ciascuno di noi ogni giorno compra è ovviamente un bene privato perché non c'è nulla di pubblico (cioè di collettivo) nel suo consumo. E infatti siamo il Paese al mondo dove per tanti motivi - fra cui la scarsa qualità dell'acqua prodotta dall'azienda comunale - più viene bevuta acqua - naturale o gassata, liscia, o frizzante - in bottiglia. Il prezzo di quest'acqua, prodotta e venduta nel modo più efficiente possibile, è un prezzo moderato dalla concorrenza. Come per ogni altro bene di consumo, il prezzo dipende dalla "qualità" del mercato.

I miei studenti però insistevano: «Professore, ma in tanti stanno dicendo che l'acqua è un bene comune!» Allora li ho rinviati alla lettura di un famoso saggio sulla "Tragedia (sic!) dei beni comuni", che gli ho così riassunto. Quando un bene viene offerto al consumo libero dei membri di una comunità (e l'esempio classico è quello dei prati, detti in inglese commons, che in tempi passati erano di tutti i contadini di un villaggio) il risultato è che tutti ci perdono perché c'è spreco. L'uso comune, cioè libero, di un bene che dà vantaggi ai singoli è una tragedia, cioè uno spreco. È esattamente quello che vediamo oggi in Italia, con una distribuzione pubblica dell'acqua spesso inefficiente e piena di sprechi, anche perché facciamo finta che sia giusto farne pagare l'uso a chi meglio può farlo, cioè al contribuente. Peccato che quest'ultimo ben poco possa fare per ridurre gli sprechi degli acquedotti!

Gli studenti prendevano appunti, perché sanno benissimo che li boccio se all'esame scrivono stupidaggini, cioè qualcosa che contraddice i fatti che tutti osservano. Però un'ultima domanda ci hanno tenuto a farla: «Professore, ma di chi è l'acqua?».
La risposta è stata facile, perché da sempre la materia è ben regolata dalle nostre leggi. L'acqua libera in natura, cioè quella che sta nel mare, nei fiumi, e nelle falde nel sottosuolo è un bene che appartiene a tutti gli italiani, come è vero per ogni altra risorsa naturale. L'acqua, come la ghiaia, ma così anche tutti i minerali, dal carbone al ferro all'oro, non è del padrone del terreno, ma è di tutti. E infatti nessuno di noi può liberamente fare un pozzo nel suo giardino, come non può farci né una cava di ghiaia né una miniera di carbone. Questa è la situazione e nessuno vuole cambiarla: se qualcuno dice che il prossimo referendum cambierebbe ciò e può evitare la "privatizzazione" dell'acqua non conosce il nostro diritto sulle risorse naturali.

Concludendo, al prossimo referendum ciascuno voterà come più gli pare. Spero solo che chi va a votare ricordi i fatti, cioè sappia qual è la situazione in cui siamo chiamati a decidere.

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