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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2011 alle ore 15:00.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2011 alle ore 17:00.

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In tempi di crisi, quando per le aziende pubbliche o private l'abisso del default si fa prospettiva concreta, il concetto della concorrenza (quella concorrenza perfetta su cui fa perno nella microeconomia classica il primo teorema dell'economia del benessere) si deforma, sfuma i suoi confini fino a prendere la forma di un punto di vista.

C'è chi pensa che l'Italia abbia compiuto il suo primo passo verso la rinuncia a un'economia del benessere (dei più, perché ai pochi è sempre garantito) il giorno in cui per decreto ha sospeso la concorrenza nel sistema aereo nazionale per salvare l'Alitalia e fonderla con AirOne. Come fosse stato un gesto liberatorio, da allora gli interventi della mano pubblica per scardinare i monopoli nazionali o locali si sono arenati come rivoli nella sabbia.

E, paradosso, il decreto Ronchi che, tra i pochi, imponeva le gare nei servizi locali è stato affossato dal malessere del cittadino che vuole vedere il Paese tornare a crescere. Ormai da mesi Catricalà denuncia che tra le chiave di volta della ripresa economica in Italia c'è l'apertura del mercato. Chiede invano il varo della legge sulla concorrenza: ma evidentemente chi lo ascolta pensa che il suo sia solo un punto di vista.

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