Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2011 alle ore 11:30.
L'ultima modifica è del 20 giugno 2011 alle ore 13:53.

My24

In Europa la consistenza dell'industria manifatturiera italiana è seconda solo a quella della Germania. E notevole risulta l'apporto delle imprese industriali, anche per le attività complementari che esse alimentano, alla formazione complessiva del Pil.

Senonché esiste una discrasia fra questa realtà di fatto e la cultura sociale prevalente nel nostro Paese. Si tratta di un'anomalia che si protrae dagli anni Ottanta e ha finito così per generare altre ipoteche, sull'evoluzione del sistema industriale, in aggiunta a quelle prodotte, lungo la strada, da politiche economiche contraddittorie o inconcludenti.

Nel 1986 l'annuncio che, avendo sorpassato la Gran Bretagna, l'Italia era divenuta la quinta potenza industriale del mondo ebbe un effetto altrettanto esaltante che soporifero. Nell'euforia per il raggiungimento di questo traguardo storico si diffuse il convincimento che ci fossimo procurati perciò una sorta di polizza d'assicurazione valida a tutti gli effetti, tale da garantirci un futuro radioso o comunque privo di incognite. A dissolvere questa illusione non bastò il fatto che, dopo aver perso le nostre chances nell'elettronica, lo stesso s'era poi ripetuto, negli anni Novanta, nella chimica fine e che, mentre andavano declinando le fortune della Fiat, l'industria alimentare era divenuta terra di conquista da parte di vari gruppi stranieri.

A perpetuare l'idea che, nonostante queste e altre battute d'arresto, potessimo comunque seguitare a riposare sugli allori fu l'assunto, altrettanto avvincente quanto illusorio, che all'avvenire del Paese avrebbero provveduto, data la scarsa presenza nel nostro firmamento economico di grandi complessi industriali, una miriade di laboriose piccole e piccolissime imprese, e perciò che fosse sufficiente il loro dinamismo e la loro flessibilità per reggere con successo le nuove sfide del mercato globale. Così che l'epoca delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni si concluse, invece che con la formazione di gruppi di maggior peso e statura, all'insegna del "piccolo è bello".

D'altra parte, se questo miraggio seducente e autoconsolatorio portò allora gran parte dell'opinione pubblica a non prendere piena coscienza per tempo dell'impatto che avrebbe provocato alla lunga sul "made in Italy" l'irruzione dei Paesi emergenti, sussiste tuttora da noi una scarsa consapevolezza dei radicali mutamenti di scenario e di prospettiva susseguitisi con gli sviluppi della globalizzazione. A cominciare dal fatto che la territorialità nazionale delle imprese non è più un elemento cogente e che sta anzi manifestandosi sempre più la loro mobilità, il loro tendenziale nomadismo al di fuori dei confini originari, verso aree più promettenti non solo per la possibilità di far conto su minori costi del lavoro.

Senonché, ed è questo un altro grave handicap che stiamo continuando a scontare, mentre è ancora diffusa da noi un'istintiva diffidenza verso il mercato e si è ben poco disposti a premiare concretamente il merito, la classe politica ha mantenuto perlopiù una concezione sostanzialmente strumentale del governo dell'economia. E ciò in quanto essa appare incline, all'atto pratico, a privilegiare di volta in volta, rispetto a strategie impegnative di largo respiro, una serie di espedienti tattici che valgano ad acquisire facili consensi o a suscitare mirabolanti aspettative.

Inoltre, ha continuato ad allignare in una parte del movimento sindacale un vecchio paradigma, ereditato dagli anni Settanta, sull'esistenza di determinati "diritti sociali", considerati irreversibili, statuiti una volta per tutte, indipendentemente dal fatto che le imprese abbiano effettivamente la possibilità materiale per sostenerne i costi e le implicazioni.

Se poi si sommano a queste dirimenti remore socio-culturali quelle imposte dalla persistenza di certi opprimenti vincoli burocratici e anacronistici particolarismi corporativi, c'è da chiedersi come il nostro sistema produttivo possa riuscire a superare la situazione d'impasse in cui versa da una decina d'anni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi