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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2011 alle ore 07:57.

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E' noto il desiderio di Silvio Berlusconi di concludere la legislatura nel 2013. Sarebbe la seconda completata senza interruzioni come presidente del Consiglio: 2001-2006 e appunto 2008-2013. Nessun capo di governo nel dopoguerra può vantare un tale record. Berlusconi ci tiene molto. La domanda stasera é: ci tiene fino al punto di concedere al suo ministro del Tesoro, d'intesa con la Lega, il lasciapassare per la manovra economica?

Perchè di questo si tratta, in definitiva. Quale che siano i reali sentimenti del primo ministro (e il sottosegretario Crosetto li ha rivelati senza reticenze), è chiaro che la via della stabilità interna passa oggi attraverso la super manovra da 43 miliardi nel triennio. E' quello che vuole l'Europa e la stabilità di un paese dell'Unione si realizza ormai solo nella cornice comunitaria. Quindi sulla carta Berlusconi ha un solo modo per esercitare la sua leadership e tentare di realizzare il sogno del 2013: lavorare per la compattezza della maggioranza (Pdl-Lega-Responsabili), rendendo così credibile la politica economica di Tremonti.

Naturalmente c'è un'altra ipotesi: che le tensioni nel centrodestra non siano riassorbite e anzi siano alimentate dallo stesso premier, trovando sponda nella Lega. E che entrambi, Berlusconi e Bossi, ritengano di poter individuare un'altra politica economica (e un altro ministro) nella speranza di non perdere consensi popolari e di non dover sfidare settori consistenti di opinione pubblica. E' un'ipotesi avventurosa, ma tutt'altro che irrealistica. Il rischio molto serio è che i mercati finanziari si accaniscano contro l'Italia, non appena avuto sentore che l'austerità incarnata da Tremonti è stata accantonata.

E' vero infatti che il ministro dell'Economia non ha una sua base politica. In questi anni ha fatto il cabotaggio fra Bossi e Berlusconi, appoggiandosi ora all'uno ora all'altro (ma più al primo) per consolidarsi e far passare la sua linea. Oggi però la forza di Tremonti non è in Italia, bensì in Europa. L'ora dell'emergenza è scoccata con la crisi del debito e questo ha cambiato anche la prospettiva domestica. L'argomento in base al quale «Tremonti non può fare quello che vuole, deve concordare le misure in modo collegiale» ha perso parte della sua forza, benché venga ancora sbandierato. La logica europea e il rischio Grecia rappresentano una montagna molto ripida da scalare per chiunque voglia tagliare la strada al responsabile dell'Economia.

Tuttavia non è impossibile che ciò accada nelle prossime ore, considerando anche la debolezza del quadro politico. L'austerità è una medicina difficile da ingoiare e si possono verificare sussulti incontrollabili: specie nella Lega, la cui voce nel vertice cruciale di oggi sarà solo quella del leader Bossi. Del resto, è evidente che non esiste in Italia un vero e proprio «partito del rigore» in grado di sostenere a viso aperto la strategia di risanamento. Non esiste nella maggioranza e nemmeno, salvo eccezioni, nell'opposizione. Prova ne sia che gli appelli alla coesione nazionale rivolti con tenace costanza da Giorgio Napolitano alla classe politica vengono raccolti soprattutto a parole.

Così Tremonti deve fare affidamento sul suo «sponsor», l'Europa, e sulla speranza che Berlusconi comprenda la convenienza: è più facile arrivare al 2013 sostenendo il suo ministro che abbandonandolo al destino avverso. Certo, una manovra da 43 miliardi avrebbe bisogno di una cornice più salda, di una forma di unità nazionale. Ma per ora le condizioni non ci sono, come ha ricordato ieri Bersani a Casini. E dunque avanti camminando sul filo.

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