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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2011 alle ore 08:09.
L'ultima modifica è del 29 giugno 2011 alle ore 09:10.

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Con un certo realismo, Umberto Bossi ha detto la verità: «La partita non è finita. Finirà solo quando il Parlamento avrà approvato la manovra». Ed è così.
Ieri, fra Berlusconi, Tremonti e lo stesso capo leghista, si è giocata solo una mano: importante, ma pur sempre solo una mano. Sul cui esito circolavano in Parlamento due interprertazioni.

La prima vede Tremonti, se non proprio sconfitto, almeno ridimensionato. Il suo «rigorismo» sarebbe stato annacquato dalle esigenze elettorali della maggioranza. Lui stesso, essendo privo di forza politica autonoma, si sarebbe in parte piegato. Niente dimissioni, adombrate a più riprese sui giornali e nei mormorii parlamentari; e una formulazione della famosa manovra che sposta nel biennio 2013-2014 i maggiori oneri per complessivi 40 miliardi. La prima rata, invece, assai più leggera, riguarda i prossimi mesi e tutto sommato non appare destinata a creare uno sconquasso sociale.


La seconda interpretazione afferma invece che il ministro dell'Economia è riuscito a superare le forche caudine. La bandiera del rigore estremo sventolata nei giorni scorsi gli è servita per far passare il grosso della manovra secondo la sua impostazione. Ha accettato qualche compromesso, ad esempio sul punto della cosiddetta «collegialità» (che restituisce al Consiglio dei ministri voce in capitolo sui tagli ministeriali), ma nel complesso ha ottenuto quello che voleva. Anzi, ha dimostrato abilità politica perché ha agito in modo da evitare il collasso della coalizione.

Ragione per la quale Berlusconi è soddisfatto, avendo guadagnato tempo, e nemmeno Bossi ha motivo di lamentarsi, visto che gli elettori della Lega non sono stati puniti (c'è la questione dell'età pensionabile delle donne, ma si vedrà in Parlamento).
Quale delle due ricostruzioni è più vicina al vero? Difficile dirlo oggi. La partita, come si è detto, è in corso e può offrire sorprese nelle prossime ore. Più facilmente nelle settimane a venire, quando il decreto dovrà essere convertito dalle Camere e l'attenzione dei mercati sarà massima. Ieri la forbice fra i titoli italiani e il «bund» tedesco si era di nuovo allargata e questo è certo un segnale inquietante: la conferma che i centri finanziari vogliono vedere risultati concreti, pena le solite ondate speculative.

Da un punto di vista strettamente politico, l'idea di rinviare le spine al 2013 e al 2014 sembra un po' l'uovo di Colombo. In realtà è una mossa molto scontata o molto astuta, a seconda dei punti di vista. Nell'ottica di Tremonti può rappresentare una concessione inevitabile, senza la quale l'intero castello di carte sarebbe crollato. A giudizio di Berlusconi è la prova che nulla è perduto e che la legislatura può rotolare verso l'approdo naturale del 2013. Invece per la Lega la manovra così plasmata può avere un altro significato: la prova che la legislatura è finita e che si tratta di salvare il salvabile.

In altri termini: si evita il suicidio elettorale di una manovra «shock», ma ci si prepara alle elezioni all'inizio del 2012. Lo stato d'animo è piuttosto diffuso nel Carroccio, dove quasi tutti preferiscono una conclusione anticipata della legislatura. Ora anche Bossi si starebbe convertendo alla prospettiva di votare entro otto-nove mesi e l'accordo con Tremonti sul profilo morbido della manovra (nella sua prima fase) lo confermerebbe. Ecco spiegata la collera delle opposizioni, da Bersani a Casini (ma non Di Pietro): dopo il voto, in caso di vittoria, toccherebbe a loro gestire il problematico pareggio del bilancio imposto dall'Unione. Non proprio un bel regalo per cominciare la legislatura.

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