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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2011 alle ore 11:25.
L'ultima modifica è del 02 luglio 2011 alle ore 11:10.

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Il dibattito sull'economia negli Stati Uniti in questa fase è pervaso dal fatalismo. Non sto parlando di quelli che insistono che il presidente Barak Obama, non si sa perché, avrebbe distrutto gli incentivi capitalistici facendo approvare il piano sanitario di Mitt Romney e minacciando di alzare le aliquote fiscali ai livelli in cui si trovavano ai tempi di Clinton.
Anche da parte di persone che dovrebbero avere buon senso si sentono spesso asserzioni che suonano più o meno così: la storia insegna che la fase di ripresa dopo una crisi finanziaria è lenta, perciò anche questa volta dobbiamo accettare di avere una ripresa lenta.

In effetti è più o meno la stessa cosa che dice Obama. Questo fatalismo è profondamente distruttivo, perché non c'è nessuna motivo valido per il quale si debbano sopportare per anni e anni livelli alti di disoccupazione. Quello che l'esperienza storica dimostra non è l'impossibilità di mettere rimedio alla debolezza della congiuntura economica nei periodi successivi a una crisi, ma soltanto che la maggior parte dei Governi in passato ha reagito al problema con lo stesso genere di fatalismo e dotta inettitudine di cui stiamo dando prova ora.

D'altronde, non siamo alle prese con problemi sul versante dell'offerta. Non abbiamo una disoccupazione alta perché i lavoratori non hanno le competenze richieste dal mercato, o perché sono tenuti bloccati nei settori sbagliati o nei posti sbagliati.
L'ipotesi che la disoccupazione che affligge l'America sia di natura strutturale è stata ripetutamente smentita dai fatti. Questa debolezza economica è determinata dalla debolezza della domanda, e per superarla è sufficiente creare più domanda.
Ma allora perché questa fase di congiuntura debole, come quasi sempre dopo una crisi finanziaria, si protrae così a lungo? Perché gli strumenti tradizionalmente usati per pompare la domanda hanno raggiunto i loro limiti. Normalmente, quando ci si trova alle prese con difficoltà economiche causate da una debolezza della domanda, si reagisce tagliando i tassi di interesse nominali a breve termine, attraverso operazioni a mercato aperto della Banca centrale. Ma in questo momento la domanda del settore privato è gravemente deficitaria per via dello scoppio della bolla immobiliare e della massa di debito al consumo da smaltire, e in queste condizioni anche un tasso di interesse a zero non è sufficiente.

Qual è, allora, la risposta giusta? Dobbiamo semplicemente alzare le braccia e dire che i 12 milioni circa di adulti che dovrebbero lavorare e che invece non lavorano, e i circa mille miliardi annui di produzione che dovremmo produrre e che non produciamo, sono solo casi della vita? Oppure non sarebbe meglio usare misure anticonvenzionali per affrontare una situazione anormale?
La risposta sembra ovvia. Dovremmo usare gli stimoli di bilancio, dovremmo usare una politica monetaria anticonvenzionale, che includa l'innalzamento dell'obiettivo di inflazione, dovremmo portare avanti misure decise per ridurre il debito ipotecario. Non fare queste cose significa accettare sprechi e ristrettezze enormi.

Ma, dicono le Persone Tanto Coscienziose, fare queste cose comporta dei rischi. Beh, la vita è piena di rischi. Ma è follia pura e semplice preoccuparsi dell'eventualità che gli invisibili vigilantes del mercato obbligazionario si manifestino, o che l'idra dell'inflazione emerga dalla sua grotta segreta, invece di preoccuparsi della concreta realtà dei danni colossali, sul piano umano ed economico, prodotti dell'inazione.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

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