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Questo articolo è stato pubblicato il 11 luglio 2011 alle ore 08:40.
Di Enrico De Nicola è rimasto celebre il cappotto rivoltato con il quale affrontò le incombenze ufficiali di presidente della Repubblica. Ma in pochi ricordano che arrivò a Montecitorio da Napoli con la sua macchina e senza scorta, che non volle mai dallo Stato una sola lira di stipendio, che pagava di tasca propria persino le telefonate e i francobolli.
Dopo di lui alla Presidenza salì Luigi Einaudi. Altro tratto umano, ma stessa austerità. L'aneddoto è tra i più raccontati: fu lui, durante un pranzo al Quirinale, a dividere in due una mela chiedendo ai suoi ospiti «chi vuole l'altra metà?».
Era un'Italia diversa. Più povera di quella di oggi. Con nelle vene sangue contadino e spirito di sacrificio. La morigeratezza era un valore da ostentare, anche quando si aveva successo, soprattutto se quel successo coincideva con l'ascesa alle massime istituzioni dello Stato.
Un'altra Italia. Con le sue luci e le sue ombre. E in fondo non è giusto cedere alla tentazione di averne nostalgia. Ma un potere austero non è roba da nostalgici. Oggi più che mai, con la crisi mondiale che morde, e con sistemi portati al limite delle compatibilità finanziarie dalla competizione internazionale, la morigeratezza della politica è un bisogno economico, prima ancora che una istanza di moralità.
Nessun Paese che vuole essere competitivo può allegramente sperperare risorse in una "esuberanza" istituzionale che sa di spreco e irresponsabilità. Sono passati vent'anni da tangentopoli e quattro dal successo del libro sulla «casta» dei colleghi Rizzo e Stella. Ma nulla è cambiato. Usi e abusi sono gli stessi. E sono gli stessi, soprattutto, i costi.
Lo testimonia l'inchiesta che pubblichiamo a pagina 2 e 3. Ventitré miliardi all'anno per il funzionamento della macchina politico-istituzionale sono un'enormità che non possiamo permetterci.
Come non possiamo permetterci compensi per i parlamentari tanto più alti della media europea.
Fa bene la manovra a provare a riportare quei costi alle dinamiche europee.
Ma il percorso delineato sa troppo di rinvio. Dopo i tanti annunci è ancora una volta mancato il coraggio. Come testimonia, del resto, l'ennesima retromarcia del Parlamento sull'abolizione delle Province.
Intendiamoci: la politica e le istituzioni hanno costi necessari. Avvilirle sotto una coltre di scherno populista non è utile a nessuno. Ma è davvero insopportabile l'incapacità delle forze politiche di autoridursi costi e stipendi. Soprattutto in un momento in cui tutto il Paese fa i necessari sacrifici per superare le rinnovate difficoltà nella gestione delle finanze pubbliche.
Sono anni di tagli lineari e di clausole di salvaguardia. Tutta la spesa pubblica è sottoposta a una cura dimagrante, così come tutto il settore privato sta facendo i conti con l'imperativo di tagliare i costi. Non è accettabile che la sola politica non riesca a dare il suo contributo.
Facciamo una proposta: si individui l'obiettivo, e se in un anno non verrà centrato, via a un bel taglio lineare. Si colpirà un po' nel mucchio? Ce ne faremo una ragione.
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