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Questo articolo è stato pubblicato il 13 luglio 2011 alle ore 08:35.

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ROMA- Chi avrebbe dovuto replicare o non c'è più (come Tommaso Padoa Schioppa) o è piegato dai malanni dell'età (come Carlo Azeglio Ciampi e Renato Ruggiero). A loro certamente non sarebbe sfuggito – e in altri tempi avrebbero fatto sentire con forza la loro voce _ i toni fortemente critici nei confronti del "metodo comunitario" usati dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti nel suo intervento di oggi all'assemblea dell'Abi.

La crisi finanziaria che ha colpito in pieno l'Italia ha infatti messo a nudo la vecchia e mai sopita anima antieuropeista di Tremonti o, per meglio dire, la sua evidente preferenza per il metodo "intergovernativo" nella costruzione europea rispetto a quello "comunitario". Quest'ultimo essendo basato sul cosiddetto "funzionalismo" ideato da Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell'Europa, e che ha consentito di trasformare, in silenzio ma inesorabilmente, subito dopo la guerra la riconciliazione franco-tedesca in una storia di successo del regionalismo mondiale.

Eppure, secondo Tremonti, i padri fondatori dell'Europa hanno capito poco e sbagliato molto. Hanno fatto prevalere la tecnocrazia sulla democrazia, la moneta sull'unione politica. La storia dell'Europa per Tremonti è stata. Alla fine, una corsa al ribasso: da un'Unione che doveva essere politica e della difesa si è passati al Mercato unico e alla moneta unica ma "non si è mai vista nella storia una moneta che nasca prima dello Stato". "Nella vita dell'Europa – ha spiegato Tremonti ai banchieri _ vedo due fasi: c'è stata una fase eroica, politica e poi una economica. Tutte e due hanno registrato un'involuzione negativa. Oggi credo che sia in discussione non un Paese, non un mercato, ma l'idea stessa dell'Europa. Cos'è, dove va? Il fattore più critico è la fiducia. Cos'è questa architettura politica e in che termini opera e agisce?".

Certo, negli ultimi anni, l'apparente ortodossia di Tremonti negli Ecofin e il suo abile gioco di sponda con lo spauracchio del "vincolo esterno" giocato di concerto al presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, poteva far illudere su un ripensamento rispetto a quanto andava dicendo e scrivendo il ministro dieci anni fa per acquisire sempre nuove benemerenze politiche con la Lega di Bossi. Il 31 dicembre del 2001, a poche ore dal change over dell'Euro Tremonti diceva di avere "qualche ritrosia a mettersi su una strada frequentata da guaritori, sciamani, taumaturghi e bancari". La fredda accoglienza della moneta unica da parte del Governo Berlusconi nella notte del 1° gennaio 2002 (con Bossi e Martino oltre a Tremonti) indusse Renato Ruggiero, ministro degli Esteri, a presentare le dimissioni. Un paio di mesi dopo in un articolo per La Stampa e Le Monde Tremonti sosteneva che se i tecnocrati più o meno illuminati potevano andare bene per fare la moneta unica ora che si trattava di fare l'Unione politica la parola doveva passare ai politici che erano l'esopressione della volontà popolare perché "le costituzioni non si fabbricano come le monete". Volere affidare anche questa nuova sfida ai tecnocrati sarebbe stata, per Tremonti, un'illusione basata su un'ideologia "a bassa cifra democratica" e sul "pensiero postomderno e neofascista della governance".

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