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Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio 2011 alle ore 07:55.
L'ultima modifica è del 17 luglio 2011 alle ore 14:40.

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L'ultima tornata elettorale ha consentito all'Italia di fare un salto in avanti, se è vero che la rappresentanza femminile nelle giunte comunali è passata dal 16% al 30 per cento. Ma la sentenza del Tar Lazio con cui è stata azzerata la giunta Alemanno - solo una donna su 12 assessori e la necessità di un rimpasto che vedrà l'ingresso nell'esecutivo anche dell'ex presidente della Roma, Rosella Sensi - suggerisce che ancora molto resta da fare. I numeri, elaborati dall'Anci, sono lì a ricordarlo: solo 887 sindaci donne su 8.179 Comuni (10,8%) e 5.598 "assessore" su 27.906 (20%).

«In Francia - spiega Pierluigi Petrillo, ordinario di diritto pubblico comparato all'Università Unitelma Sapienza di Roma - a livello di Comuni e Regioni è prevista l'assoluta parità tra donne e uomini, ovvero nessun partito può candidare più del 50% di rappresentanti dello stesso sesso». Con il risultato «che il 47% dei consiglieri comunali è di sesso femminile». Merito anche della scelta di affidare a leggi ordinarie il compito di attuare la tutela delle pari opportunità contenuta nella Costituzione. Mentre altrove sono stati gli statuti dei partiti a prevedere un accesso paritario alle cariche politiche. «In Gran Bretagna - ricorda Petrillo - negli anni 90 si è sviluppata una competizione virtuosa tra i partiti per assicurare la piena partecipazione delle donne nei loro organi».

E in Italia? Gli enti locali hanno provato a correggere il tiro, ma con esiti diversi. «Il problema - sottolinea Mia Caielli, ricercatrice di diritto pubblico comparato all'Università di Torino - è che l'articolo 6 del Testo unico degli enti locali (Tuel), che sollecita statuti comunali e provinciali ad assicurare la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali, è stato spesso recepito in modo generico». Così la maggior parte degli statuti si limita a prevedere una presenza equilibrata dei due sessi, senza fissare paletti precisi.

Certo le eccezioni non mancano. «Lo statuto della Provincia di Lodi - continua Caielli - stabilisce che in giunta siano presenti almeno due donne. Mentre la Provincia di Lecce ha deciso che nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai tre quarti nella composizione della giunta o degli altri organi». Un caso di scuola, insomma, in quella Puglia in cui nel 2005 un ricorso al Tar contro il Comune di Veglie aprì la strada alle battaglie amministrative sulle quote rosa.

Per Caielli, però, il nodo è a monte. «Occorre rivedere la legge elettorale di Comuni e Province e prevedere delle quote nella composizione delle liste. Perché spesso la scarsa presenza di donne nelle giunte replica un analogo problema nei consigli comunali, e i sindaci, che in molti casi possono nominare gli assessori solo tra i consiglieri e non all'esterno, hanno le mani legate quando si tratta di assicurare un'equa presenza di entrambi i sessi». Il primato della Francia, insomma, è ancora lontano.

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