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Questo articolo è stato pubblicato il 21 luglio 2011 alle ore 09:10.
L'ultima modifica è del 21 luglio 2011 alle ore 09:25.

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È difficile dire se l'accordo interconfederale del 28 giugno tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil rappresenti una svolta epocale in grado di concludere il processo di riforma del protocollo del 1993 inaugurato con l'accordo del 22 gennaio 2009. È però agevole constatare che ha già raggiunto, sia pure indirettamente, un primo importante risultato. Ha indotto il Tribunale di Torino a dichiarare, con il dispositivo letto all'esito dell'udienza del 16 giugno 2011, la legittimità – anche ai sensi dell'articolo 2112 del Codice civile – dell'impianto contrattuale che ha portato alla costituzione da parte della Fiat della newco.

E a dichiarare l'applicabilità della nuova disciplina, che deroga al Contratto collettivo del 2008 in materia di orario di lavoro, assenteismo, pause, turni e organizzazione del lavoro, a tutti i lavoratori dello stabilimento di Pomigliano.

L'accordo interconfederale non è retroattivo. Quindi, formalmente, non è applicabile agli accordi già sottoscritti dalla Fiat. Ma ha assicurato a quell'impianto contrattuale la "copertura politica" o, se si preferisce, la "legittimità sindacale" che hanno consentito al Tribunale di Torino di dichiararne la legittimità. Soprattutto, a seguito della coraggiosa sottoscrizione da parte del direttivo Cgil, ha reso evidente che solo la Fiom continua a non voler applicare la regola democratica in base alla quale se un contratto collettivo aziendale è accettato dalla maggioranza, delle rappresentanze sindacali, esso ha efficacia obbligatoria per tutti i lavoratori.

Ecco il grande merito politico degli articoli 5 e 6 dell'accordo interconfederale. Seppure, in mancanza di una legge, non siano in grado di assicurare l'affermata efficacia erga omnes dei contratti collettivi aziendali, dimostrano comunque che i tempi sono maturi per applicare il principio maggioritario anche alle relazioni industriali. E per questa via pongono le basi (o meglio, un insieme di regole condivise), per disciplinare quella competizione sindacale che ha messo in crisi l'assetto di regole delineato dal Protocollo del 1993, che presupponeva un unanimismo confederale sempre più difficile da raggiungere.

Come già stabilito nel 2009, il baricentro del nuovo assetto competitivo delle relazioni industriali resta il contratto collettivo di secondo livello: dovrebbe diventare il luogo elettivo del confronto tra diverse visioni dell'azione sindacale. E proprio perché al contratto di secondo livello si assegna la fondamentale funzione di ricercare nuovi e più avanzati punti d'incontro in grado di aumentare la produttività delle aziende (e con essa le retribuzioni dei lavoratori), l'accordo interconfederale si preoccupa di assicurarne l'esigibilità. Tant'è che dispone che anche le clausole di tregua sindacale, seppure non vincolando i singoli lavoratori, abbiamo effetto obbligatorio per tutte le rappresentanze sindacali firmatarie dell'accordo operanti in azienda.

È un passaggio fondamentale soprattutto per assicurare la correttezza della competizione sindacale, perché mira ad evitare che i sindacati che si oppongono alla firma di un accordo possano godere di posizioni di vantaggio, e di una maggiore "capacità conflittuale", rispetto a quelli che, sottoscrivendo gli accordi, accettano le clausole di tregua sindacale. Ora, neanche questa disposizione dell'accordo interconfederale è direttamente applicabile agli accordi Fiat (che pure contengono clausole di tregua sindacale). Quindi, a rigore, la Fiom potrebbe scioperare per contestare gli accordi che non è riuscita a invalidare facendo ricorso. Ma anche questa disposizione è stata accettata dalla Cgil, alla quale, a tutt'oggi, continua ad appartenere la Fiom.

Analoghe considerazioni valgono per i possibili ricorsi individuali paventati dalla Fiom per scardinare l'impianto contrattuale che è stato legittimato dal Tribunale di Torino. Qualora anche quei ricorsi avessero successo, finirebbero comunque per far emergere un insanabile contrasto tra una Cgil che ha accettato il principio maggioritario e una Fiom pronta a tutto pur di far prevalere le sue posizioni su quella di tutti gli altri.
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