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Questo articolo è stato pubblicato il 21 luglio 2011 alle ore 08:30.
L'ultima modifica è del 21 luglio 2011 alle ore 09:34.
Goran Hadzic: un nome pressoché sconosciuto all'opinione pubblica occidentale. Eppure è proprio con la sua cattura che si chiude la tragica pagina delle guerre nella ex Jugoslavia degli anni Novanta. Ha esultato ieri il presidente della Serbia Boris Tadic, il primo leader politico serbo realmente impegnato a catturare i latitanti "eccellenti", da Radovan Karadzic a Ratko Mladic, che per anni erano riusciti a evitare l'arresto contando su protezioni ad altissimo livello.
Hanno plaudito i vertici dell'Unione europea, che da tempo condizionava l'avvio del processo di integrazione della Serbia alla cattura di tutti gli imputati di crimini di guerra e contro l'umanità. Si è gioito, infine, nelle stanze del Tribunale dell'Aja (Tpj), dove magistrati e semplici funzionari hanno segnato con una croce la foto dell'ultimo latitante sul manifesto dei ricercati, ormai ingiallito dal tempo. Eppure: la conclusione di questa vicenda sarà sufficiente ad aprire alla Serbia le porte dell'Unione europea, senza che le vengano imposte nuove condizioni? E al Tribunale dell'Aja, che rischia la chiusura nel 2012, sarà concesso il tempo necessario per terminare i processi?
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